Psicomamme: genitorialità, consapevolezza e creatività

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3 campanelli d’allarme da non sottovalutare all’inizio della scuola

Elena Bottari Ottobre 2, 2013

Come aiutare tua figlia o a tuo figlio a capire che non è giusto subire angherie o comportamenti umilianti? A scuola si rischia di rimanere imprigionati in un personaggio (il bambino sbadato, l’immaturo, l’ irascibile, il bullo, il passivo…) e, se si vuole evitare di instradarli verso un destino simile a quello del padre di Michael J. Fox in Ritorno al futuro, o come quello del bullo spaccone e ignorante della stessa pellicola, bisogna agire subito senza lasciar sedimentare abitudini negative.

Se il bambino della terza fila dice a tua figlia o a tuo figlio che è “idiota” e gli altri bambini ridono o fanno altrettanto, siamo di fronte ad un problema. E’ necessario che l’insegnante sia al corrente di questo atteggiamento offensivo e che richiami all’ordine e al rispetto reciproco la classe.

Lasciar correre o dire:

  • se la caverà
  • i bambini sono così
  • la vita è così
  • è il mondo baby

è un modo per dire che va bene così!

3 indizi che fanno un malessere:

  1. non voglio più andare a scuola
  2. non voglio vedere quei bambini al parco, al cinema, insomma fuori da scuola
  3. sono triste quando vado a dormire (e qui conviene indagare ponendo domande sui sentimenti verso la scuola e i compagni oppure chiedere se ci siano stati momenti brutti a scuola)

Ti racconto cosa è capitato nella classe di mio figlio, prima elementare.
Alcuni bambini avevano preso l’abitudine (bastano pochi giorni per instaurare abitudini) di dirgli “idiota”, “sei piccolo” e “scemo di puttana” che Dio solo sa dove lo hanno sentito.

Quando un bambino si sente umiliato non sempre ne parla subito con i genitori. Però, scavando un po’, l’umiliazione può venire fuori come uno dei motivi per cui non voler andare a scuola.

Ciò che bisogna che i bambini capiscano fin dall’inizio è che:

  • se vogliono essere rispettati, devono rispettare gli altri
  • che quello che fa soffrire loro, fa soffrire anche gli altri e non è attaccando che si risolve il problema
  • che non si dicono parolacce
  • che non si può offendere “in nome dell’amicizia”, sicuri che l’altro ingoi tutto senza fiatare

Cosa è successo in classe?

Mio figlio, dopo una bella chiacchierata sulla convivenza civile, ha parlato alla maestra che, nel momento giusto, ha invitato tutta la classe ad un diverso comportamento, specificando che non si deve offendere i compagni.

Così facendo ha ricordato ai bambini che tutti sottostiamo a regole che proteggono noi e anche il prossimo, basate sulla reciprocità e sulla pace, ha evitato risse (perché alla fine capita che i bambini si azzuffino), ha rafforzato l’autostima di chi non offende e incoraggiato questo comportamento virtuoso in ogni bambino, suggerendogli che deve potersi fidare dei compagni e non temerli.

Da questo semplice episodio ho imparato che:

  • un bambino che dopo nemmeno un mese di scuola vorrebbe non andarci più, merita una razione ulteriore di ascolto e di indagine da parte dei genitori
  • bisogna fornire ai bambini le informazioni per sentirsi cittadini, con doveri e diritti
  • l’unione fa la forza (se insegnanti e genitori seguono un percorso comune, fatto anche di principii, tutto diventa più semplice)
  • è molto utile, per un bambino, vedere che il mondo dei grandi non lo lascia solo
  • è molto utile, per un bambino, capire che i grandi lo stimano a tal punto da aspettarsi un comportamento onorevole da lui

Se l’argomento “vita scolastica” ti interessa, leggi

 

Articolo di Elena Bottari

La foto è Library of Congress

 

 

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