Psicomamme: genitorialità, consapevolezza e creatività

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Buone abitudini: quando perseverare richiede una mente diabolica o un libro di Nathaniel Branden

Elena Bottari Maggio 20, 2014

Le buone abitudini sono difficili da mantenere, questa è la sporca verità. Ci fanno bene, ci fanno vivere più a lungo, meglio, più lucidamente. Ci aiutano a non fare stupidaggini, a volte ci salvano la pelle ma, senza costanza, il loro effetto benefico svapora miseramente. Servono una mente maratoneta, una volontà chiara e tanta perseveranza per proseguire con le buone abitudini fino a farle proprie, fino a renderle parte di noi.

Ecco che la perseveranza nelle buone pratiche, chissà perché, sembra subito molto più complicata della perseveranza nel vizio o in ciò che ci fa diabolicamente male. Assecondare i propri più turpi desideri è maledettamente più difficile che farsi del bene.
Perché rovinarsi il fegato sembra alla fine più socialmente accettato che mangiare più verdure o chiudere con gli alcolici?
E’ tutto un fatto di trasgressione o in fondo alla benevolenza con cui concediamo a noi stessi di farci del male, c’è in fondo un’ inconfessabile approvazione dell’autolesionismo o, peggio, una svalutazione di sè e degli altri come soggetti non meritevoli di “bene”.

Il peccato originale ci perseguita, la cultura cattolica ci affossa, l’idea di non meritare di meglio ci fa solo cadere più in baso?
E’ l’idea che non siamo fatti per la felicità, per il benessere o che la felicità e il benessere addirittura non esistano? Stiamo pensando liberamente o diamo semplicemente sfogo alla nostra mancanza di amor proprio o di autostima? E poi, inconfessabile domanda, non è che la mancanza di autostima sia una caratteristica quasi incoraggiata dalla nostra società, salvo poi farci sentire in colpa per essere poco intraprendenti, poco sicuri?

Il buon Nathaniel Branden ci offre un vero e proprio programma di allenamento per rafforzare la nostra autostima e quindi a ritenerci degni di stare bene, di essere felici, qui e ora.
Si tratta di una serie di veri e propri compiti quotidiani, pensieri, domande a cui rispondere per rafforzare quelli che lui definisce i 6 pilastri dell’autostima. L’autostima, secondo lo psicoterapeuta statunitense, crea una serie di aspettative implicite su ciò che è possibile e appropriato per noi. Queste aspettative tendono a generare azioni che confermano la loro “bontà”. L’autostima è quindi generatrice di positive profezie autoavveranti. La stima di sè sarebbe quindi un volano positivo, capace di creare reazioni a catena estremamente virtuose.

L’autostima di cui Branden parla non è quella dei giornali femminili, quella per la quale, per intendersi, una donna si dovrebbe valorizzare, dovrebbe vestirsi bene, attingere al portafogli per essere più degna della stima propria e aultrui. L’autostima è

la disposizione a sperimentare se stessi come forniti delle competenze necessarie a confrontarsi con le sfide basilari della vita e come degni di felicità

strettamente correlata ai concetti di razionalità, realismo, intuitività, creatività, indipendenza, flessibilità, capacità di gestire il cambiamento, disponibilità ad ammettere e a correggere i propri errori, benevolenza e cooperazione.

Ecco quindi che ci sono buone pratiche, come quelle suggerite da Branden, la cui applicazione rende più facili e coerenti tutte le altre, perché discendono direttamente dal fatto che ci concediamo di volerci bene e pensiamo di meritarci di stare meglio 🙂
Il fondamento degli esercizi di Branden sta nella scrittura automatica, il più possibile collegata con l’inconscio. Si tratta infatti di completare delle frasi ogni mattina appena svegli, per diverse settimane. E’ un lavoro serio che non sarebbe sbagliato provare, per piantare nuovi semi nella nostra mente.

Le frasi vanno completate in due o tre minuti (mai più di sei) senza soffermarsi su grammatica o profondità dello scritto. Durante la settimana non bisogna mai leggere ciò che si è scritto il giorno prima. Nel fine settimana si rilegge ciò che si è scritto dal lunedì al venerdì e, dopo aver riflettuto bene, si scrive una frase che inizia con

Se quello che ho scritto è vero, sarebbe utile se io…

Il segreto è non temere di essere immediati. Anche frasi sconclusionate e apparentemente prive di senso ci dicono molto. Ciò che conta è che siano scritte avendo ben preciso nella testa l’argomento di cui in ogni frase si sta trattando e che si cerchi di avere un alto livello di consapevolezza su di sé.

Ogni giorno della stessa settimana rispondiamo alle stesse domande ma, se facciamo bene i “compiti a casa”, notiamo una progressione nella nostra capacità di focalizzare i vari punti.

Ecco un esempio di frasi:

Se io introducessi un più alto livello di autostima nelle mie attività di oggi…

Se  io introducessi un più alto livello di autostima nelle mie relazioni con le persone oggi…

Se io mi accettasi di più del 5% oggi…

Se io mi accettassi anche quando sbaglio…

Se io mi accettassi anche quando sono confuso e sovraccarico…

Il sito di Nathaniel Branden contiene numerosi cicli di esercizi, quello dell’autostima è forse il primo da considerare.
In quanto italiani, abituati all’assoluzione o alle penitenze, siamo spesso scettici di fronte a proposte che mirano a farci stare meglio in modo risolutivo e organico, preferiamo mangiare cioccolatini, bere drink, comprarci delle scarpe e spesso l’idea di un programma ci spaventa e ci sembra più facile dire che si tratta di “americanate”. C’è però da dire che Branden è uno psicologo psicoterapeuta di grande esperienza e che ciò che lui propone è stato lungamente sperimentato in sede di analisi.

Indagare il nostro inconscio su determinati argomenti e attuare modalità nuove nella propria vita quotidiana, coerenti con i nostri nuovi obiettivi, ci rende ogni giorno meno meccanici e più autentici, favorendo un rinnovamento di sé ispirato al nostre bene e ad una maggiore capacità di relazionarci con gli altri e con i fatti dell’esistenza.

La foto è di The Library of Congress

 

 

 

 

 

 

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