Psicomamme: genitorialità, consapevolezza e creatività

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Cosa si intende per effetto McNamara a scuola?

Elena Bottari Settembre 28, 2019

Appare strano che l’effetto McNamara venga citato nei libri di pedagogia e di didattica eppure è proprio così. Fin dal tempo del comportamentismo la psicologia dell’apprendimento ha fatto i conti con la misurabilità scientifica degli apprendimenti e con l’istruzione programmata che mirava a rendere tutti gli allievi padroni delle conoscenze (mastery learning).

Chi era Robert McNamara? E’ stato ministro della difesa statunitense durante la guerra in Vietnam. Viene chiamato effetto McNamara la tendenza ad escludere dall’indagine tutto ciò che non è misurabile. Tale degenerazione del pensiero scientifico-paradigmatico restringe il campo visivo e predispone a colossali cantonate. Robert McNamara aveva architettato la propria strategia bellica in modo positivistico puntando tutto sull’installazione di costosissimi dispositivi di rilevazione di uomini e mezzi e sulla creazione di una linea minata per evitare che i soldati nemici entrassero nel Vietnam del sud dal Laos o dal Vietnam del nord. La strategia dei bombardamenti era invece stata considerata inutile perché i suoi effetti non erano misurabili.

L’effetto McNamara è noto in inglese come McNamara fallacy, espressione coniata dal sociologo Daniel Yankelovich nel 1972:

il primo passo è misurare tutto ciò che può essere facilmente misurato. Questo va bene finché funziona. Il secondo passo è disprezzare ciò che non può essere facilmente misurato o attribuirgli una stima quantitativa arbitraria. Questo è artificioso e falsante. Il terzo passo è presumere che ciò che non può essere facilmente misurato non sia realmente importante. Questo è cecità. Il quarto passo è dire che ciò che non si può misurare facilmente non esista. Questo è suicidio.

La visione di McNamara emerge chiara da questa frase

Things you can count, you ought to count, loss of life is one (Devi contare tutte le cose che possono essere contate, la perdita di vite è una di queste cose)

che è proprio agli antipodi della celebre frase di Albert Einstein

Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato

Vi sono studi che approfondiscono questa forma di “cecità” più o meno consapevole anche in medicina. L’ipertrofia dell’analisi dei dati e l’analisi soltanto quantitativa, mai qualitativa, porta a semplificare realtà complesse in nome di un riduzionismo suicida, conduce a considerare la morte di migliaia di persone una metrica statistica come le altre.

Perché si parla di effetto McNamara a scuola? Perché la valutazione scolastica, che dovrebbe essere oggettiva e “terza”, viene invece formulata da docenti che, come tutti noi, hanno dei pregiudizi e solo nei casi più felici si ispirano al concetto di triangolazione del giudizio tra oggettività, soggettività e intersoggettività che dovrebbe garantire la giusta equanimità. In più, non è detto che verifiche di tipo “riproduttivo” che richiedano l’applicazione di sequenze note a tipologie di esercizi già sperimentati in cui il numero di errori sia chiaro e incontrovertibile, faccia emergere apprendimenti profondi, frutto di una reale interpretazione personale da parte degli studenti. Le competenze calano i saperi nel contesto reale e sono il banco di prova capace di coinvolgere anche le dimensioni non cognitive (capacità di collaborare, creatività, capacità di comunicare, empatia, perseveranza…).

Ciò che spesso sfugge all’attenzione è che non tutto ciò che conta è misurabile. Un approccio tecnicista rischierebbe di considerare solo gli apprendimenti quantificabili e non le cosidette non cognitive skills, ovvero abilità emotive, sociali, affettive, caratteriali, valoriali che filosofi come Fenstermacher ed economisti  esperti in capitale umano come Heckman hanno definito indispensabili.

Con l’arrivo delle competenze sul pianeta scuola, le rubriche valutative aiutano a calare nel concreto i modi in cui conoscenze, abilità e competenze dovrebbero esprimersi ed essere valutate perché il giudizio non sia la conclusione di un processo iniziato con la lezione frontale ma un punto di perenne ripartenza, fonte di feed-back utili agli studenti per orientare meglio lo studio ma anche elemento fondamentale per migliorare le metodologie di insegnamento.

Come si fa a decidere i criteri in base a cui si decide se uno studente abbia o meno appreso un concetto o un’unità didattica? La valutazione degli apprendimenti fa sempre i conti con due fattori decisivi: la rilevanza e l’attendibilità.

Esistono diversi tipi di metodi rilevativi

  • prove scritte (strutturate, non strutturate, miste)
  • prove orali
  • osservazioni dell’insegnante durante lavori di gruppo (sguardo ecologico)
  • colloqui diagnostici

Le 5 capacità non cognitive principali sono:

  • energia
  • amicalità
  • coscienziosità
  • stabilità emotiva
  • apertura mentale

Il profilo delle competenze che i docenti hanno in mente come conclusione del processo di apprendimento, la stella polare con cui gli insegnanti progettano la didattica, è un buon modo per valutare capacità cognitive e non cognitive. Il momento valutativo deve però essere compiuto con mente aperta e consapevolezza dei propri pregiudizi, avendo ben presente non solo il dato ma anche il processo e la singola persona in oggetto. La valutazione ha un senso se non è una pietra tombale o un giudizio fine a sé ma se illumina punti di forza e punti di debolezza in modo costruttivo in una prospettiva dinamica della persona, vista come soggetto della propria vita e della propria formazione.

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