Psicomamme: genitorialità, consapevolezza e creatività

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Denaro e psiche. Come valutiamo i costi della psicoterapia?

Flavia Cavalero Gennaio 28, 2015

La gestione del proprio denaro, oltre che con le disponibilità economiche di ciascuno, ha molto a che fare con la psiche. Amministrare il denaro vuol dire decidere per cosa si è disposti a spendere, vuol dire stabilire il valore che si è disposti a riconoscere a qualcosa.

Ad esempio, io non amo sciare di conseguenza ritengo che il costo del biglietto giornaliero sia eccessivo e non sono disposta a spendere la cifra necessaria per accedere ai servizi degli impianti da sci. Proprio perché non mi interessa questo sport, non riesco a riconoscerne il valore e, quando penso ai costi da affrontare per esercitarlo, inserisco nel conto proprio tutte le spese che lo riguardano; la benzina che devo usare per andare in montagna, il costo dell’autostrada, e poi vuoi che non ci fermiamo a bere un caffè per strada. E poi il giornaliero. E poi la tuta e gli scarponi e la giacca a vento. E poi il pranzo. E poi, e poi, e poi… fino ad arrivare ad un totale qualsiasi che mi sembra davvero enorme.

In compenso amo molto viaggiare e quando conteggio il costo del mio prossimo viaggio, il mio criterio di valutazione cambia. Innanzi tutto sono disposta a pensare che è possibile fare dei sacrifici pur di poter partire, quindi mi attrezzo in anticipo per accumulare un po’ di risparmi, sono disposta a rinunciare ad altre cose perché il mio obiettivo principale è il viaggio che ho programmato. Inoltre considero quelle spese che comunque dovrei sostenere, ad esempio (a meno che non si decida di non mettere mai il naso fuori dall’uscio) un caffè al bar ci scappa sempre, una pizza anche, per usare l’auto la benzina comunque devi usarla… questo espediente dà la percezione di abbattere i costi. Se sono in ristrettezze economiche cambio il percorso, cerco di accorciarlo; limito la durata della vacanza, al massimo cambio meta. Comunque parto, da qualche parte ci vado.

Poiché non mi interessa andare a sciare, non considero i costi di gestione degli impianti, né il costo del personale, né la stagionalità. Non mi riguarda proprio sapere perché costa così e non costa cosà. Considero solo il mio personale disinteresse a frequentare le piste da sci. Costasse la metà, non ci andrei comunque e sono consapevole che non mi piace e che non lo voglio fare.

Al contrario tengo in forte considerazione i costi di gestione dei musei, le spese che deve affrontare un albergatore e tutti gli oneri che compongono il prezzo finale del mio viaggio e sono disposta a sostenerli e a trovare comunque sempre il modo per fare il mio “viaggetto” annuale.

Riflettendoci un po’, possiamo trovare moltissimi altri esempi di vita quotidiana di questo tipo. Indipendentemente dallo stato sociale di ognuno di noi, ogni volta che spendiamo del denaro facciamo una scelta che implica il coinvolgimento della nostra psiche e che mette in movimento le nostre emozioni.

Lo stato del Piacere è quello che guida le nostre scelte.  E’ Piacere che ci fa acquistare le patate al posto delle carote, che ci fa scegliere il rosso al posto del grigio, che ci fa tagliare i capelli, ricostruire le unghie, fare le sopracciglia a gabbiano, andare a teatro, al cinema, a passeggio.

Piacere ha mille e più sfaccettature, è riflessivo ma anche rivolto agli altri, può essere estetico ma anche etico, riguarda tutti i nostri sensi. E’ un fenomeno complesso e, a volte, nemmeno noi riusciamo a capirlo appieno. Chiedersi se una situazione ci fa Piacere oppure no, se una cosa ci piace oppure no, sarebbe molto utile per il nostro benessere.

Iniziare un percorso terapeutico, ad esempio, non fa sempre così Piacere, questo accade in modo particolare quando siamo stati sollecitati da altri a farlo, ma può accadere anche se la scelta è stata nostra. In questi casi la difesa che più di tutte abbiamo a portata di mano, quella che ci sembra che possa mettere a tacere ogni forma di discussione, riguarda proprio il costo da sostenere. In tutti i rapporti professionali c’è un costo da sostenere e nessuno si stupisce per il diritto di chiamata di un artigiano, né quando il dentista presenta il preventivo del lavoro, né quando un medico nel suo studio privato presenta la parcella.

Dallo psicoterapeuta invece tutto cambia.

Si mettono in moto meccanismi che altrove tacciono. Entra in gioco il Piacere in una delle sue tante forme, lo psicologo deve volerti bene, deve fare il suo lavoro per passione, che è una declinazione di Piacere. Questa è una dimensione fantasiosa, irreale ed è anche poco auspicabile per la buona riuscita della terapia. La relazione tra terapeuta e cliente è, e deve essere, asimmetrica per natura. Non è una relazione amicale, non ci si scambiano confidenze. Si lavora. Uno in modo professionale e personale, l’altro in modo intimo e personale.

Spendere del denaro da uno psicoterapeuta non equivale a comperare qualcosa, equivale semai ad un investimento su di sé. E’ solo in quest’ottica che si può comprendere il senso del costo della terapia.

Quanto sei disposto ad investire, anche e soprattutto, in ordine di tempo, di fatica, di sincerità per ottenere il cambiamento che desideri? La risposta a queste domande ti dice se sei anche disposto ad investirci del denaro, perché anche il denaro è un simbolo prima di essere il mezzo che ci permette di sostenerci.

In questo periodo di enorme crisi, non mancano in realtà le occasioni di poter effettuare colloqui gratuiti con professionisti. In questo caso vi suggerisco una domanda, cos’è che spinge un professionista a svolgere gratuitamente il suo lavoro? Io lavorerei gratis?

In questo articolo ho volutamente omesso tutta una serie di questioni che tutti i professionisti del settore conoscono benissimo, questioni di ordine:

  • tecnico – che riguardano il setting, il transfert, le difese (del professionista e del cliente)
  • amministrativo – ad esempio la fatturazione che andrebbe comunque fatta anche in caso di colloqui gratuiti, le spese di gestione dello studio
  • di gestione professionale – il costo della formazione continua a cui non possiamo e, soprattutto, non dobbiamo esimerci

La fotografia della signora davanti alla vetrina è di Tyne & Wear Archives & Museums via Flickr

 

 

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