Psicomamme: genitorialità, consapevolezza e creatività

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La Sirenetta di Andersen ha qualcosa da dirci

Elena Bottari Agosto 28, 2015

C’è ormai da tempo una moda reazionaria che consiste nel cambiare il finale delle favole che “finiscono male”. Passi per alcuni casi motivati dal mutar dei tempi e dalla serietà dell’autore che opera la trasformazione (pensiamo alla filastrocca rodariana su La cicala e la formica)

Chiedo scusa alla favola antica,
se non mi piace l’avara formica.
Io sto dalla parte della cicala
Che il più bel canto non vende, regala.

Gianni Rodari

 

ma ci sono storie che avrebbero molto da dirci, proprio nella cupa ingiustizia del loro finale. Poi certo si può cambiare una storia quanto si vuole ma è bene conoscere le “versioni precedenti”.

Prendiamo una favola incredibilmente cruda, forse la più spietata tra i grandi classici, La sirenetta. Ogni scelta implica una rinuncia, sembra dirci Andersen con il suo racconto che assomiglia tanto alla celebre frase del filosofo Kierkegaard. Tutto si paga a caro prezzo e anche il premio finale sembra a suo modo un’ulteriore punizione.

Analizziamo la trama. La sirenetta si innamora del bel giovane naufrago che ha salvato e, pur di far parte del suo mondo, vende la propria voce (la propria individualità, l’espressione più autentica di sé) a favore di due gambe. Il principe azzurro non si ricorda di lei che gli ha salvato la pelle ma si innamora di un’altra ragazza che lo ha trovato sulla spiaggia e che, nemmeno a farlo apposta, è una principessa. Verso la sirenetta il rampollo prova al massimo affetto, non si innamora di un essere afono che non può raccontargli di averlo tirato a riva proprio grazie alla sua natura ibrida e acquatica.

La sirenetta avrebbe ancora una chance di non trasformarsi in schiuma del mare, a patto di pugnalare l’ amato bene ma niente, l’amore le impedisce di salvarsi la vita. Che rabbia per le bambine come me che lo odiavano sto bel principe smemorato! Quindi la tragedia si compie ma qualcuno lassù ha pietà (per modo di dire) di lei.  La sirenetta, che già aveva perso la voce, perde anche forma e visibilità: diventa una figlia dell’aria, condannata a 300 buone azioni prima di ottenere un’anima e poter finalmente andare in paradiso. Ma non è finita qui: per ogni bambino buono avrà uno sconto di pena di un anno mentre per ogni bambino cattivo dovrà piangere e avrà un anno di condanna aggiuntivo per ogni lacrima versata. Ma vi sembra che la corte sia stata clemente?

La povera sirenetta, senza voce e senza forma non ha mai avuto un nome (o forse lo aveva nel suo mondo ma questo non conta per i terricoli). Guadagnerà a caro prezzo un’anima terrestre che suona tanto come certificato di conformità ma sospettiamo che, buona com’era, ne fosse già ben provvista.

Ecco lì la storia della sirenetta, scritta per convincere i bambini ad essere buoni per accorciare un supplizio ma forse anche per dare questi avvertimenti alle donne:

  • non rinunciare alla tua essenza profonda
  • lascia perdere i principi con la memoria corta
  • non firmare accordi in cui in palio c’è la tua stessa vita
  • l’amore non è sempre ricambiato
  • il mare è pieno di uomini-pesce che non saranno principi ma si ricorderanno di te
  • meglio non dover fare affidamento sulla pietà

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