Psicomamme: genitorialità, consapevolezza e creatività

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La paranza dei bambini di Roberto Saviano

Elena Bottari Novembre 12, 2016

La Paranza dei bambini è una storia senza tempo che parla di bambini normali, figli di insegnanti e di negozianti, che scelgono di diventare soldati, di schierarsi dove meritano, tra i fottitori, tra quelli che comandano e non sono sul libro paga di nessuno. Avere soldi, avere potere, essere rispettati, essere temuti sono i valori vincenti che sbandierano davanti agli occhi di padri che non osano prendere posizione e che si sentono in scacco. Le madri capiscono ma sono soggette al fascino di questi figli che vedono forti, risoluti e belli. Poco importano quei malipensieri che ogni tanto affiorano, è cosa da niente quella paura di guardare il fondo del mare che sale verso il cielo, la rete da pesca che intrappola i pesciolini

La paranza finisce subito, come nasce così muore.
Da soli non hanno alcun prezzo, alcun valore, raccolti in un cuoppo di carta e mezzi insieme diventano prelibatezze.
Veloce si nasce in mare, veloce si è pesati, veloce si finisce nel rovente della pentola, veloce si sta tra i denti, veloce è il piacere.

Nel covo in via dei Carbonai realizzano il loro sogno di indipendenza e di potere sotto la guida di Nicolas che rispolvera riti di affiliazione e impartisce lezioni di comando a cui gli altri, poco inclini alle teorie, si piegano con entusiasmo tipico della giovinezza e del branco.

Il nome si prestava a questo gruppo di ragazzini che nulla sapevano dei Carbonari e che pure li ricordavano, senza nobili intenti, ma solo con la medesima voglia di sacrificio, l’abnegazione cieca che portava a ignorare il mondo e i suoi segni, ad ascoltare solo e soltanto la propria volontà come oggettiva dimostrazione della giustezza del proprio agire.

Si sentono forti della forza data dal non avere limiti nella violenza e dal non pensare alle conseguenze. Credono di avere il gioco in pugno questi ragazzi a volte buffi, per i quali omicidio e punizione sono fasi dell’ addestramento, prova iniziatica e sadico gioco. Agostino, escluso dal gruppo prima del battesimo criminale, prova ad avvisare i compagni del fatto che mettersi contro qualcuno significa schierarsi contro qualcun altro e generare faide senza fine ma gli tocca il destino di Cassandra.

La psicologia della paranza, di questa famiglia alternativa fatta di malinteso onore e sottomissione al capo, coinvolge anche le famiglie vere che, ad eccezione di Annalisa e della mamma di Eduardo, non si oppongono, come ammaliate dalla luce delle lampare della pesca a strascico che la paranza evoca.

Lei aveva capito e non parlava, anche perché in qualche modo non le dispiaceva che il fratello contasse qualcosa e che non passasse tutta la vita a caricare video e a giocare a GamePlayer. La luce della paranza poteva far brillare un poco anche lei.

Pensava come se fosse anche lei nella paranza. Tutti erano nella paranza senza saperlo. Le leggi erano le leggi della paranza.

Drone non aveva il potere di fare niente, né contro né a favore, eppure era convinto, come tutti, che entrare in paranza avrebbe significato essere qualcosa di più, di più di se stesso.

Nicolas, il Maraja, guida i suoi soldati scelti lungo un’escalation di terrore che culmina con le stese e con le esecuzioni. Non c’è amicizia che tenga, non c’è parentela, conta solo il sangue della paranza. Grazie alle armi, forti della santabarbara fornita dall’Arcangelo, si sentono imbattibili, angeli neri con ali tatuate sulla schiena.

Essere qualcosa di più dei loro padri, prendersi uno spazio nel mondo, avere un tavolo sempre prenotato nel locale più alla moda di Posillipo, questo è ciò che i ragazzi vogliono, questo è il premio per chi ha come unico limite il cielo. Loro sanno come si sta al mondo, loro sanno che c’è un prezzo da pagare per il comando e credono di essere pronti a pagarlo.

Come chi ancora non ha iniziato a vivere, non avevano paura di niente, consideravano i vecchi già morti, già seppelliti, già finiti.

Avere un privé per sempre, conoscere tutti quanti, farsi vedere sono il più grande desiderio di questi ragazzi che sognano matrimoni più sontuosi di quelli dei boss e tra una missione e l’altra mandano messaggini teneri alle fidanzate. Roberto Saviano è riuscito in un’impresa impossibile: raccontare i criminali senza negare la loro infanzia e il loro incredibile candore. Efferatezza e goffa tenerezza dei personaggi si tengono insieme e forse un aspetto è incomprensibile senza l’altro. Il mondo di questi ragazzi è fatto di strade, rioni e quartieri, Sanità, Forcella, Conocal, Scampia, San Giovanni a Teduccio, Gianturco. Man mano che leggiamo, nella mente si disegnano cartine contraddistinte dai luoghi frequentati dai paranzini, dai monumenti e dai loro luoghi simbolici.

Terra e mare, pulito e sporco, maschi e uomini, fottitori e fottuti, stesa e raccolta, molti sono i binomi spesso antitetici che solcano La paranza dei bambini. I ragazzi interpretano il mondo alla loro maniera, in modo manicheo e senza intravedere mai alternative. Riempiono i vuoti lasciati da padri che sono “cruciverba parlanti”, da genitori che loro sentono di dover proteggere dalla verità. La paranza è un’alta marea che dal mare risale lungo i quartieri di Napoli.

Una paranza che da mare diventa di terra. Che dai quartieri che guardano il Golfo scende in formazione riempiendo le strade. Adesso toccava a loro andare a pescare.

Non sappiamo con quale disciplina Robero Saviano abbia proceduto alla stesura di questo libro ma infiniti sembrano esserne gli affluenti linguistici, storici, semantici e poetici. Rass, negus, maraja, vicerè, madonne egiziache, mari lontani, il Brasile, l’Albania, l’aramaico sono solo alcune delle numerosissime e significative suggestioni che danno spessore e valore universale a questa storia. Siamo a Napoli ma potremmo essere a Rio, siamo nel 2016 ma viene il dubbio che questo voler appartenere alla nobiltà e non alla plebe, che questo desiderio di lusso si riallacci davvero ad un passato in cui Napoli e le altre grandi sue città erano centrali. Ne La paranza dei bambini, così come nello spettacolo teatrale Sanghenapule, Napoli è dipinta come città eterna dalle infinite stratificazioni.

Chissà da quale anfratto di memoria un titolo onorifico etiope, appena sotto a quello del Negus, era diventato appellativo per ragazzi che nemmeno sapevano dell’esistenza dell’Etiopia. ‘O ras veniva dall’aramaico ma era diventato napoletano. Titoli e soprannomi che in questa città conservano stratificati i sedimenti delle piraterie ottomane, che avevano lasciato sulla lingua e sulle fisionomie dei volti la loro eredità.

Antichità e modernità si intrecciano. Marchi di scarpe e di abbigliamento, nomi di scooter, videogiochi, titoli di film, serie televisive e fumetti connotano i gusti dei ragazzi e descrivono le situazioni in cui via via si trovano. Il fosso di Helm è la città da attraversare sotto la grandinata, gli X-Men sono il totem di Aucelluzzo. Mondi reali e virtuali si fondono e si rafforzano a vicenda moltiplicando immagini, simboli e atmosfere. Le immagini poetiche, talvolta buffe, talvolta agghiaccianti sono sempre in agguato. I ragazzi ora colti “col naso per aria come i pastorelli a Fatima”, ora proiettati nel loro imminente destino come “aucielli” che “tanto comunque devono morire. Di fame o perché gli spari”, guardano la fontana di fuochi artificiale “con le facce accese di luce come i morti delle candele”.

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