In mare non esistono taxi, antidoto alla propaganda razzista
Elena Bottari Maggio 14, 2019La propaganda è una una forma di manipolazione delle informazioni che ci offre una realtà alternativa a quella che vediamo con i nostri occhi e che sperimentiamo ogni giorno. Ci induce a dubitare dei nostri sensi, del nostro giudizio, degli strumenti della razionalità e dell’esperienza a cui ci affidiamo da decenni e con buone probabilità di non vedere un drago sputafuoco dove c’è un passero. Si interpone tra noi e la realtà, trascina la verità dalla propria parte, ci fa dubitare dei nostri principi o se li intitola, tradendoli, ma confida nella propria pervasività e nella sospensione del senso critico dei cittadini bisognosi di soluzioni semplici che promettano il paradiso e dispensino dall’ interessarsi a problemi complessi. La propaganda è un gigantesco Ghe pensi mì! che poi non ci pensa affatto ma anche un efficientissimo livellatore di contraddizioni. Cancella tutto quello che non rientra nella propria narrazione cristallizzata, distrae l’attenzione da se stessa convogliandola spesso sui nemici del popolo, su capri espiatori. La propaganda è a suo modo una teoria ingenua ma non è spontanea, è indotta da un apparato comunicativo tanto ossessivo quanto semplificatore.
Il campo di battaglia della propaganda è la nostra mente. Agire sui nostri schemi, sui nostri modelli di rappresentazione ma anche su emozioni e umori è la sua strategia per orientare il nostro pensiero e generare stati mentali utili ai suoi scopi. Contando sulla nostra scarsa memoria, la propaganda aggiusta il racconto di fenomeni nel modo che è più utile all’esercizio del suo potere.
La rappresentazione delle Ong come taxi del mare, lanciata sul web da Luigi Di Maio, sostenuta e cavalcata dagli alleati di governo che hanno costruito e costruiscono la loro perenne campagna elettorale sul tema dell’accerchiamento (tema caro alla propaganda nazista), ostacola delittuosamente l’azione di salvataggio in mare di uomini, donne e bambini. La propaganda chiama taxi le ambulanze e pacchia la condizione di trovarsi in mezzo al mare in balia delle onde, con il terrore di morire o di essere riportati nei lager libici dove torture e stupri sono la routine quotidiana. Disidratati, ustionati, affamati, infreddoliti, i migranti sono in mare perché la loro vita in Africa non è più possibile e nessuno li aiuta a casa loro dove invece esportiamo armi come se non fossimo al corrente delle conseguenze. Armi, droga, coltran, diamanti, idrocarburi passano e arrivano sani e salvi a destinazione mentre le persone affrontano il loro calvario nell’indifferenza o nell’odio di chi ripete Porti chiusi! quando sa benissimo che sono aperti e che non ci sono modi legali di venire in Italia perché i visti non vengono concessi.
Per uscire dalla bolla propagandistica bisogna leggere i dati di enti terzi che hanno il dovere dell’obiettività. L’Istat evidenzia che al primo gennaio 2019 gli stranieri in italia sono l’8,7% della popolazione totale. Parlare di invasione è quindi falso!
Nel libro In mare non esistono taxi, edito da Contrasto, Roberto Saviano intervista i testimoni e fa parlare le immagini delle ferite, fisiche e psicologiche, che il rifiuto ideologico e propagandistico di gestire bene i flussi migratori imprimono nelle persone. In mare ci sono ambulanze perché i governi se ne lavano le mani e ora vorrebbero che non ci fosse più alcun soccorso. Nelle fotografie di Martina Bacigalupo, Olmo Calvo, Lorenzo Meloni, Paolo Pellegrin, Alessandro Penso, Giulio Piscitelli, Moises Saman, Massimo Sestini, Carlos Spottorno, i migranti che la propaganda aborre sono individui, escono dalla bolla disumanizzante che ci fa dormire sonni tranquilli mentre dovremmo gridare allo scandalo del male che lasciamo avvenire nel mar Mediterraneo.
Le fotografie sono prove e mattoni costitutivi della memoria: testimoniano i morti, il dolore senza nome di chi ha dovuto aggrapparsi a cadaveri per galleggiare, la precarietà di vite in bilico su freddi abissi, la felicità dell’arrivo in un porto sicuro. La fotografia testimonia l’umanità che la propaganda vorrebbe cancellare e l’orrore dell’abbandono. Dire non mi interessa significa tradire i pilastri nella nostra civiltà che si fonda sulla parabola del buon samaritano e non sui disvalori identitari dei fanatici di Pontida.
Leggere In mare non esistono taxi è un buon punto di partenza per uscire dalla retorica dell’invasione e del se la sono cercata che ammorba social media con proclami politici farciti di pregiudizi.
Ma cosa dice la nostra amata Costituzione?
Come Chiara Saraceno ci ricorda nel suo articolo “Cattivi con i buoni” pubblicato su Repubblica il 12 maggio 2019,
L’attività di solidarietà sociale non è mai stata così oggetto di delegittimazione da parte dei poteri dello Stato come oggi. Chi cerca di adempiere ai “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” per “garantire i diritti inviolabili dell’uomo” (e della donna, naturalmente), solennemente sanciti dall’art 2 della Costituzione , rischia di trovarsi segnato a dito vuoi come buonista senza costrutto, vuoi come facinoroso che attenta alla sicurezza. Non importa se tra i diritti inviolabili c’è innanzitutto il diritto alla vita, e ad una vita dignitosa. Gli stessi che vorrebbero sancire per legge il diritto alla vita, quindi a svilupparsi e nascere, dell’embrione (non chiaro se italiano, però), considerano illegittimo cercare di salvare la vita di chi altrimenti annegherebbe, quando si tratta di un migrante.
La Costituzione è dalla parte del buon samaritano!
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