Poiché l’alimentazione ci permette di vivere, il rapporto essere umano–cibo dovrebbe essere semplicissimo. Nel corso della vita ci accorgiamo, invece, che non è sempre così e quando la questione riguarda i nostri figli, spesso, ci allarmiamo. Il cibo è infatti relazione.
Un bambino che mangia troppo o, al contrario troppo poco, un bambino selettivo che mangia solo alcuni cibi e rifiuta tutti gli altri oppure che fa un sacco di storie quando è ora di mettersi a tavola, è un bambino che manda in crisi chi si occupa di lui. Si genera una sorta di circolo vizioso: più noi andiamo in crisi, più il bambino manifesta il comportamento che la genera e così avanti, noi in crisi e lui sempre più ostinato a non mangiare, o a mangiare troppo, o a mangiare solo quel che dice lui.
Ci sono bambini che rifiutano alcuni alimenti, ad esempio la pasta con il sugo oppure una o più verdure o la frutta. Ce ne sono altri che non vogliono mangiare a tavola. Altri ancora che pretendono di guardare i cartoni durante i pasti. E così via, con altri comportamenti bizzarri che inducono quasi sempre l’adulto a sottostare alle richieste e a soddisfare ogni reclamo del bambino.
Mangiare non è solo un atto che ci permette di vivere, non ha a che fare solo con la nutrizione del corpo; attraverso il cibo passano fattori culturali, tradizionali, affettivi, emotivi e relazionali importanti tanto quanto il nutrimento del corpo e tutto ciò accade fin dall’allattamento (sia esso al seno, sia attraverso il biberon). In quell’abbraccio il bambino vive il battito del cuore, il calore, l’odore, la vibrazione di chi lo allatta che, in questo modo, non gli offre solo cibo, ma anche calore, contenimento, rassicurazione, serenità, piacere.
Il cibo da segno diventa simbolo e da simbolo diventa sintomo. Un segnale, un campanellino sonante che deve attirare la nostra attenzione e che non è detto che suoni solo nell’infanzia, spesso in adolescenza si fa sentire, nuovamente o per la prima volta, ma sempre seguendo questo percorso che trasforma il comportamento con il cibo nel sintomo di un disagio.
Non a caso, quando un bambino o un adolescente presentano problemi con l’alimentazione, immediatamente dopo aver consultato il pediatra per escludere origini di ordine fisico, si consiglia vivamente di parlare con uno psicologo perché spesso è il segnale di una difficoltà di tipo relazionale.
Quando si raggiunge questo punto si presentano le nostre resistenze che solitamente danno inizio ad una processione di visite, cambio di pediatri, consulti di professionisti che si occupano di medicina alternativa, rimedi pseudo farmaceutici di vario tipo. Le resistenze sono delle forze che agiscono in noi per evitare di affrontare la questione mettendo in discussione il nostro comportamento. Per la logica è più semplice ritenere che il bambino sia viziato o che l’adolescente stia seguendo un modello sbagliato piuttosto che mettere in discussione il nostro personale/familiare modo di fare.
Nel migliore di casi il bambino/l’adolescente persiste nel suo comportamento ostinato quando, addirittura, il suo comportamento alimentare non peggiora.
Più di qualcuno può riconoscersi in queste frasi:
“Con la baby sitter mangia anche i cibi che con me rifiuta”
“Le maestre dicono che in mensa non fa problemi a mangiare, ma io non ci credo”
“Dai nonni mangia tutto, ma a casa fa un sacco di storie”
Queste stesse affermazioni sono quelle che dovrebbero farci riflettere e che dovrebbero originare almeno il dubbio che potrebbe essere il segnale di qualche difficoltà di tipo relazionale. Ma le nostre resistenze sono più forti e ci impediscono di capire, di vedere cosa ci sia sotto quel comportamento; come quando c’è la nebbia che rende difficoltoso anche il percorso che conosciamo a menadito, quella sottile coltre di vapore ci impedisce di vedere al di là.
Ci sono alcuni espedienti che possono aiutare a rendere questa lotta meno dura:
Con i bambini piccolissimi
- Più il bambino è piccolo più è importante che possa anche pasticciare il suo cibo, se prende la pasta con le mani per provare a mangiarla da solo, è importante permettergli di farlo. La conoscenza passa anche da quella strada lì
- Se c’è un alimento che non gli piace è inutile proporglielo in continuazione, è vero che i gusti cambiano e che un alimento che non piaceva può successivamente piacere, ma ci vuole un po’ di tempo ed è giusto concederglielo
- Se abituiamo il bambino piccolo a mangiare giocando, o se lo imbocchiamo traendolo in inganno con la complicità della televisione, lui tenderà ad associare il momento del pasto a quel rito e la sua aspettativa sarà quella … sarà difficile disabituarlo e la possibilità che si distragga e che ritenga più interessante il gioco del cibo è molto alta
Con i bambini piccoli
- Il cibo non deve essere un’arma di ricatto: evitare frasi tipo “Se mangi tutta la pappa, la mamma ti porta al parco”. Non si mangia per ottenere qualcosa o per accontentare qualcuno, inoltre il ricatto mette ansia, cosa decisamente sfavorevole a stimolare l’appetito
- Limitazioni severe o addirittura divieti di mangiare alcuni cibi hanno l’effetto di renderli più desiderabili e veicolano anche un forte messaggio di controllo rispetto all’autonomia che il piccolo sta cercando di raggiungere
- I bambini quando hanno fame, mangiano, di conseguenza non mangiano quando non hanno fame. Questa frase sibillina è importante e dice semplicemente le cose come stanno, sempre in caso di buona salute fisica. Non è detto che un bambino abbia fame perché sono le 12,30 e per convenzione si pranza a quell’ora. Magari avrà fame un’ora dopo. E’ importante conoscere e rispettare i suoi ritmi per evitare di imporgli di mangiare quando manca l’elemento essenziale per farlo, ossia l’appetito
Con i bambini in età scolare
- Coinvolgere l’infante può essere una mossa positiva, sia perché lo si rende partecipe a un compito da adulti, sia perché in questo modo sente di condividere qualcosa di suo nel rito del pasto, sia perché lo si responsabilizza. A seconda della età gli si può chiedere un aiuto nell’apparecchiare e anche nel preparare il cibo, in quest’ultimo modo ha la possibilità di partecipare alla trasformazione dalla materia prima alla pietanza
- I bambini hanno bisogno di regole, poche, chiare e condivise. E’ importante che imparino come ci si comporta a tavola e lo fanno prima e senza problemi se capiscono le motivazioni
- Ognuno di noi ha almeno un alimento che proprio non gradisce e questo accade anche ai bambini. Rispettarne i gusti personali è importante, mentre è inutile forzarli a mangiare una cosa che non piace
A tutte le età
- Se sentono il nostro continuo lamento e preoccupazione rispetto al loro comportamento alimentare, siano essi piccoli o adolescenti, non faranno altro che continuare
- L’enfasi eccessiva al pasto porta quasi sempre ad un comportamento di ribellione
- L’ansia genitoriale arriva dritta dritta al destinatario e si aggiunge alla sua. Infatti nulla condiziona di più un bambino e/o un adolescente che il carico di ansia dei genitori e spesso le risposte sono legate proprio al clima emotivo più che al cibo
- In ultimo ma per primo in ordine di importanza; quale è il vostro rapporto con il cibo??? Prima di quanto noi diciamo, ai pargoli arriva quanto noi facciamo. Siamo il modello a cui tendono. Il modo in cui noi pensiamo il cibo è il modo in cui lo pensano o lo penseranno loro, pertanto se siamo dei golosi impenitenti o se tendiamo a mangiare il meno possibile per evitare di ingrassare, è molto probabile che vedremo ripetere questo comportamento. Le abitudini alimentari, il valore e il significato del cibo si trasmettono con l’esempio.
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La foto del Christmas pudding è di National Archive Uk