La legge bavaglio è una legge che il governo Berlusconi, caduto a novembre 2011 e attualmente sostituito da un governo di tecnici guidati da Mario Monti, aveva proposto per circoscrivere la libertà dei magistrati di ordinare le intercettazioni e di utilizzarle nei processi, nonché la libertà dei giornalisti di pubblicarle. Una restrizione notevole della libertà di indagine e di informazione, libertà fondamentali nell’equilibro democratico di un paese.
La legge bavaglio rischiava di bloccare la cronaca giudiziaria e di sottrarre agli inquirenti uno strumento fondamentale di indagine, strumento di cui per legge già non si può abusare (solo le intercettazioni realmente cruciali vengono utilizzate e non c’è pericolo per la privacy di persone coinvolte in colloqui irrilevanti ai fini delle indagini). Opinione pubblica, giornalisti e magistrati si sono opposti a questo decreto. Molte sono state le petizioni, le proteste e le manifestazioni anti-bavaglio, per chiedere che il potere politico non si sottraesse ai suoi contrappesi e controlli naturali, perché il ruolo dei pm non venisse umiliato ma soprattutto perché indagini di grande rilevanza, processi su mafia e corruzione non venissero privati delle prove necessarie alla loro prosecuzione.
L’elemento di maggior discordia risiede nella proibizione di effettuare intercettazioni telefoniche a meno che non vi fossero “evidenti indizi di colpevolezza”. Appare lampante la contraddizione, visto che le intercettazioni sono una preziosa risorsa investigativa e senza di esse è piuttosto difficile giungere a conclusioni sulla colpevolezza o sull’innocenza di un indagato.
Insomma per sapere se indagare su chi fosse l’assassino di Cluedo, se fosse Miss Scarlett o il Professor Blum, si sarebbe dovuto saperlo già! Un’altra grande perplessità riguardo a questo decreto legge era legata al divieto, in esso contenuto, di porre sotto controllo persone vicine all’indagato o di utilizzare tali prove per reati diversi.
Si parla oggi di legge bavaglio soprattutto per il web. E’ tornata in voga, anche nel governo Monti, la volontà di vincolare la libertà di stampa sul web. Ogni giornalista online, blogger o gestore di sito dovrebbe, qualora la norma “bavaglio al web” andasse in porto, rettificare entro 48 ore qualunque affermazione giudicata lesiva da chicchessia senza alcuna possibilità di replica, pena multe fino a 12.000 euro.