Dettati e frasi pazze da inventare (chi, gn, qua, cuo e trallallero trallallà)
Elena Bottari Giugno 18, 2014Arriva il momento in cui i soliti dettati annoiano i genitori, figuriamoci i bambini. A questo punto una sola cosa resta da tentare: inforcare la penna e darsi da fare. I piccoli, come i grandi, possono inventarne tanti, scritti bene, scritti male, poco importa, quel che conta è giocare.
Ecco qualche elaborato un po’ diverso, per un insolito dettato con cq, gn, cu, sci, e le parole più difficili per chi ha appena iniziato a scrivere.
Uno gnu, nella savana, solitario brucava e sognava: conigli e ghepardi non erano più nemici, assieme girovagavano attorno agli stagni che, pur privi di ombrosi castagni, erano perfetti per fare bellissimi bagni. Nuotavano a rana e anche a girino, spassandosela e dormendo come ghiri, fino al mattino.
Il cubo è un oggetto, un solido, davvero squadrato che sta sempre in piedi, piuttosto impettito. Non ci sono curve né archi in questa figura che studi a scuola, con grande cura. Le sue dimensioni sono tre, è un po’ magico e chi sa perché? Ha sei facce tutte uguali, non è né grasso né magro, se lo lanci rotola un po’ e atterra su un suo quadrato.
Di quando in quando accade che, per una quisquilia, i bambini mettano a soqquadro tutta la mobilia. Che disdetta, che strazio, che incredibile imbarazzo. Il cuore del problema è che quindici bambini in una casa, sono come una Cinquecento guidata da una balena. Si fermeranno anche a cena? Allora provetti cuochi dovranno diventare: cucchiai, forchette e nuovi piatti dovranno inventare.
Quindici uomini, cantava il bucaniere, dirigendosi verso il porto. Qualcuno ha preso le chiavi della macchina? Non l’avrete lasciata lì incustodita, con tutto ciò che serve per passare il resto della notte a mordervi le dita? Orsù pirati all’arrembaggio, salviamo macchina e onore, nella battaglia del parcheggio. Inforcate gli occhiali, gli apparecchi per i denti e le scimitarre, salite sui pattini a rotelle, le chiavi dovremo recuperare se vogliamo infine salpare.
C’è una storia senza tanta luce, quella di un acquitrino scuro e truce. Suo cugino era un acquaio gocciolante. Entrambi erano stanchi di affondare nel fango e nell’acqua stagnante. Scrissero entrambi all’acquerugiola che lanciò un messaggio alla rugiada. Così andarono tutti dalle nuvole nere, pregando che facessero arrivare un acquazzone nella palude, uno proprio grosso che l’acquitrinio facesse tracimare. L’ondata di piena arrivò puntuale e l’acquitrinio verso il mare iniziò a navigare. E il povero acquaio? Venne premiato! Il padrone di casa lo venne a riparare.
L’aquila reale non sapeva più dove andare a cercare. Aveva setacciato l’orbe terraqueo ma niente, nessuna traccia dell’anatroccolo. Dove si era cacciato quel piumino innamorato della liquirizia? Sempre meglio del liquore, non c’è dubbio ma poco adatto ad una dieta equilibrata. La sua mamma, disperata, ovunque lo cercava e lui niente, nessuno segno ormai le dava. L’aquila glielo aveva promesso :”Troverò il tuo querulo pennuto, fosse l’ultima cosa che faccio su questo pianeta sterminato”
Dove lo trovò, bello spaparanzato? In una pasticceria del centro, ben rimpinzato, un centinaio di rotelle aveva divorato. Era felice e contento o forse un po’ annoiato? “Qua” disse, e cadde addormentato.
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La foto è di Llyfrgell Genedlaethol Cymru