L’approccio gerontologico fino agli anni sessanta era determinato dalla medicina ed era di tipo patologico, l’invecchiamento era visto come perdita e malattia.
Se hai almeno 50 anni, ti ricorderai di aver visto o conosciuto, nella tua infanzia, persone che alla tua attuale età, sembravano vecchie. Erano chiamati nonni da tutti e magari avevano appena superato la cinquantina. Oggi non è più così.
Questo modello è stato sostituito da un approccio che pone al centro dell’osservazione la persona, le sue risorse e le condizioni del suo ambiente. Con questa impostazione, si evidenziano le capacità residue e si cerca di prevenire i processi di diminuzione e di perdita.
L’invecchiamento si svolge diversamente da persona a persona e da ambiente a ambiente, definire l’età della vecchiaia è davvero difficile. La gerontologia abbraccia aspetti tra loro relati; l’invecchiamento fisico inteso come la perdita progressiva della capacità del corpo a rinnovarsi, l’invecchiamento psicologico che riguarda le trasformazioni dei processi emotivi ed affettivi dell’individuo, l’invecchiamento comportamentale che comprende le aspettative, l’immagine di sé, le attitudini ed il contesto sociale dell’invecchiamento cioè l’influenza di indicatori quali il reddito, la salute, il tempo libero, la cultura. Questi aspetti sono in interazione costante e sono determinanti ai fini della definizione dell’età individuale.
Nella società moderna i termini invecchiamento e senescenza sono utilizzati in due accezioni diverse, secondo due modalità estreme ed opposte tra loro.
Una prima interpretazione dei termini è negativa e diffonde un significato di perdita e decadimento, è strettamente connessa a Tanathos. Si addice alle case di riposo.
Una seconda e più recente visione è altrettanto estremista, ma ha una connotazione positiva fortemente connessa ad Eros, finalizzata alla negazione della morte e diffonde un significato di negazione della stessa vecchiaia. Per estremizzare diciamo che si addice di più agli interventi di chirurgia estetica.
Si presenta così una modalità bipolare che definisce la vecchiaia ora come cronicità e patologia che pone l’anziano in condizione di passività, versus modalità superficiali che definiscono l’anziano come un individuo capace di relazionarsi, esprimere la propria individualità, al di fuori di problemi specie specifici.
Da sempre lo studio della vecchiaia è stato ostacolato da stereotipi e pregiudizi, primo tra tutti la volontà di negare l’esistenza della vecchiaia stessa. Freud riteneva di non potere analizzare gli individui di oltre cinquanta anni a causa dell’esaurimento della plasticità della mente, ma poi egli stesso lavorò sino ad oltre gli ottanta anni. Egli propone la vecchiaia rappresentata da immodificabilità e rigidità fisiologiche e psichiche, delineando un carattere definitivo della vecchiaia.
Ma quando inizia l’invecchiamento?
Risulta sempre più difficile circoscrivere la vecchiaia in base all’età anagrafica, perché l’essere anziani non può definirsi solo attraverso una delimitazione cronologica e biologica.
La definizione di età senile è relativa, specialmente in una popolazione come quella italiana in cui il processo di invecchiamento è ad uno stadio molto avanzato. La mutazione demografica epocale cui abbiamo assistito negli ultimi decenni, comporta l’affacciarsi di un diverso modo di guardare alla vecchiaia e il concetto di “vecchio” non dà conto delle varietà di condizioni.
D’abitudine si distinguono tre livelli di età; la giovinezza comprende infanzia ed adolescenza, seguono la maturità e la vecchiaia o terza età. Oggi compaiono la quarta età ad indicare gli individui di oltre settantacinque anni fino ai novanta, ed una quinta età di ultranovantenni e centenari.
Secondo Cesa Bianchi (1998) vi sono diverse età, collegate tra loro, che determinano l’essere più o meno anziani. Si deve tenere conto dell’età cronologica e di quella biologica che riguarda lo stato fisiologico, l’età sociale che è quella pubblica attribuita dagli altri, l’età soggettiva e quella personale che sono rispettivamente una successione di avvenimenti e il momento della vita che l’individuo pensa di avere raggiunto.
L’età della vecchiaia è soggettiva ed auto attribuita. Malgrado questa mutazione sociale, la cultura è più che mai orientata ai modelli giovanili e la popolazione anziana non è funzionale al sistema sociale perché grava sia economicamente, sia praticamente, sulle categorie degli adulti che già hanno in carico i giovani.
L’adulto tende a sfuggire a questa realtà e vuole apparire più giovane, il vecchio vuole sfuggire alla fine della vita e cerca un’immagine giovanile. La società dei consumi ha creato ibridi e miti giovanili senza considerare le conseguenze devastanti di un processo innescato che porta ad un declassamento degli anziani, ormai senza potere, perché essi stessi se lo negano.
Articolo di Flavia Cavalero
L’immagine, di Chilombiano, è tratta da Morguefile