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Il giorno dei morti

Scialle ricamato

La festa dei morti, dalle mie parti, è sempre stata onorata. Potevi non esserci a Pasqua, festeggiare altrove il Natale e il Capodanno, dimenticare compleanni e anniversari, ma nessuno ti avrebbe perdonato l’assenza in quel giorno.

La commemorazione dei morti ha un significato profondo, sottende il riconoscimento delle proprie radici, il legame con la propria famiglia, quando non addirittura con il territorio, il paese di origine. Ha quindi un’origine molto antica e lontana.

Vestiti di tutto punto, si andava al cimitero, rigorosamente chiamato Campo Santo, e si “prendeva la messa”. La vestizione era quella della festa; incontravi vecchi zii con i vecchi abiti della domenica, ma non quelli di tutte le domeniche, quelli speciali, acquistati magari venti anni prima per un matrimonio. L’odore di naftalina in Chiesa spesso contendeva con l’incenso il primato della prevalsa.

Molte donne indossavano il velo. Se hai meno di cinquant’ anni non lo ricordi, ma anche le donne italiane usavano spesso coprire il capo, e lo facevano sempre in Chiesa.

Al cimitero non potevano mancare i crisantemi, anche solo uno in mezzo al mazzo di fiori, ma ci doveva essere perché era il fiore dei morti. Sembrava quasi di fare loro un torto a non portarne almeno uno, era un’aspettativa condivisa socialmente.

Tra rito e superstizione, la tavola veniva apparecchiata prima di recarsi a fare il giro dei morti. E poi c’erano le castagne, rigorosamente bollite insieme a qualche foglia di alloro.

Niente a che vedere con Halloween, né meglio né peggio, semplicemente diverso.

E’ tuttavia curioso notare come l’abitudine di rendere visita ai defunti al cimitero, sia successiva all’editto napoleonico di Saint Cloud del 1804, che imponeva di seppellire i morti nei cimiteri extraurbani. La tradizione di andare al cimitero per commemorare chi non c’è più, è quindi illuminista e non religiosa. La tradizione cattolica voleva infatti che i morti venissero sepolti “ad sanctos”, vicino alle salme dei santi, all’interno delle chiese.

Con il romanticismo e la sua predilezione per i temi del notturno, del sepolcrale e della malinconia, il culto dei morti è  ridiventato confessionale.

La tradizione cattolica non è tuttavia l’unica presente in Italia.
Nelle comunità dell’Italia del sud facenti parte dell’ Eparchia di Lungro e dell’Eparchia di Piana degli Albanesi, si commemorano i defunti secondo la tradizione ortodossa. La festa dei morti non cade all’inizio di novembre ma tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. Si commemorano i morti con una festa durante la quale vivi e morti si confondono: secondo la leggenda le anime dei defunti hanno infatti il permesso divino di tornare nei luoghi cari.

A San Demetrio Corone, paese di tradizione arbereshe in provincia di Cosenza , dopo la processione al cimitero i parenti degli estinti vanno nella tomba dei propri cari per consumare cibo e bevande. I passanti sono invitati a partecipare al banchetto. In serata amici e parenti si ritrovano rievocando i loro cari e uno dei posti a tavola è lasciato libero perché “riservato” ai defunti (un pò come nella tradizione ebraica si lascia una sedia vuota per il profeta Elia, durante le festività pasquali).

Nella tradizione ebraica la morte è una specie di oasi di serenità in cui gli affanni della vita non arrivano.
La morte è la porta della vita eterna!
Le visite ai defunti sono limitate per non incorrere nel culto dei morti e nell’idolatria. La famiglia si ritrova a visitare la tomba del defunto almeno una volta all’anno per rinnovarne la memoria.

Le comunità valdesi non hanno mai avuto un particolare culto dei morti. I cimiteri valdesi sono semplici e verdi, sembrano giardini.
Il rito funebre protestante si svolge in modo molto semplice e non esiste il sacramento dell’estrema unzione (gli unici sacramenti sono il battesimo e la santa cena). Si muore e basta. Il ricordo, vivo nelle famiglie, è qualcosa di esclusivamente intimo e spirituale.

Tu festeggi il 2 novembre? La festa dei morti ti mette tristezza o la vivi serenamente?