Maternità libera e cliché
Ho fatto un’immersione nei forum, tra i commenti delle donne su articoli che parlano di temi “femminili” e mi hanno colpito alcuni toni e alcuni clichés nei quali mi sembra che le donne siano un pò intrappolate. Così ho fatto una bella intervista a Flavia che è qui a un tiro di schioppo e che, di mente, anima e dinamiche psicologiche se ne intende.
Ecco il risultato di questa spremuta di meningi su scelte di parto e molto altro!
Perchè le scelte minoritarie vengono talvolta prese dalla maggioranza delle persone, come attentati alla bontà della propria condotta?
Questi sono i temi dell’influenza sociale e del conformismo con i quali ci confrontiamo continuamente. Il primo studioso che se ne è occupato (Serge Moscovici) affermava che le innovazioni nei saperi e nella società erano spesso da ricondursi a singoli o a minoranze che sfidavano le opinioni tradizionali. Ma lui diceva anche che ci sono delle condizioni per cui il pensiero minoritario può espandersi: la minoranza deve essere coesa, competente, coerente e stabile nel tempo. In questi casi il cambiamento che si instaura diventa profondo e duraturo perché, a differenza del pensiero che va per al maggiore, la minoranza riesce ad apportare un cambiamento passando attraverso un processo cognitivo profondo.
Il cambiamento è sempre un processo difficile perché in qualche modo mina delle “certezze” e obbliga ad un pensiero proprio.
Perché le mamme che partoriscono in casa, seguendo protocolli che tutelano la sicurezza di mamma e bambino, suscitano reazioni talvolta veementi e accuse di irresponsabilità?
Partorire in casa sembra una scelta anacronistica, la maggior parte dei nostri lettori sono nati in ospedale se non in clinica privata. Il parto è medicalizzato ed è indubbio che da quando lo è sono fortemente diminuiti i casi di decessi di mamme e bambini. Questo è quanto appare. Forse non appare a sufficienza che partorire in casa oggi non equivale al partorire in casa delle nostre nonne. Oggi il parto in casa è sicuro come quello in ospedale, è un’alternativa sicura che riduce interventi medici inutili su donne e bambini sani. Non tutte le donne possono farlo, e questa è una importante differenza con il passato, vengono infatti selezionate le donne a basso rischio.
Per quanto riguarda le accuse di irresponsabilità ricordo che, un tempo, venivano accusate anche le donne che sceglievano di partorire in clinica per avere l’anestesia. “Partorirai con dolore” era un anatema imprescindibile che, col tempo, è stato accantonato e, anche in quel caso, si è partiti da una minoranza di donne che hanno portato ad un cambiamento culturale.
Il parto in casa spaventa perché non lo si conosce.
Capita che le donne cha hanno avuto il loro bambino in ospedale si difendano come se qualcuno le avesse accusate di non essere coraggiose o come se, il semplice fatto di scegliere fosse un lusso o un vizio che sottrae risorse al modo consono di fare le cose. Qual è il consiglio che, a questo proposito e per il bene di tutti, ti senti di dare come psicologa?Perché non si riesce ad uscire dal’ottica delle opposte fazioni e si finisce sempre per perdere il contatto con i dati reali per aggrapparsi più all’ideologia che alla valutazione e al riconoscimento delle differenti scelte, nessuna delle quali è migliore a priori?
Credo che la mancanza di informazione generi sempre per lo meno diffidenza e lasci spazio a scelte che non sono consapevoli ma che sono dettate da stereotipi e pregiudizi. Ogni donna ha il diritto di scegliere come e dove fare nascere il suo bambino, ma se non conosce le alternative o se le conosce solo parzialmente, non è in grado di compiere una scelta consapevole.
Ritengo che il movimento che si sta creando intorno al parto in casa sia molto importante e credo che il lavoro di diffusione delle informazioni vada amplificato. Mi sembra di poter vedere un filo rosso che lega l’allattamento al seno, per lungo tempo dimenticato se non addirittura additato, con il parto a domicilio. Il primo ha avuto molto successo e in tempo relativamente breve perché “sponsorizzato” anche dagli ospedali stessi. Per il secondo immagino tempi più lunghi, ma questo è solo un mio personale pensiero.
Le opposte fazioni caratterizzano la nostra cultura, la dicotomia è comoda e veloce: si o no, bianco o nero, destra o sinistra e via di questo passo. Il paradigma dell’aut aut è tutto occidentale, per abbracciare il paradigma dell’et et, quello che comprende l’una e l’altra cosa, dobbiamo spostarci verso l’oriente. La nostra cultura è ancora legata alla suddivisione in buoni e cattivi. La complessità è più difficile da gestire a livello personale e ancora di più a livello sociale. Ma grandi passi si stanno facendo.
Da donna e da psicologa che consiglio darebbe alle donne, per attuare, almeno in parte, la famosa sorellanza?
Per noi psicologi c’è una parola che è molto importante ed è empatia, ossia la capacità di comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d’animo di un’altra persona, il sapersi mettere nei panni altrui. Credo che tra donne l’empatia possa essere facilitata e credo che la sorellanza non possa che passare da lì.
Perché la maternità e il parto sono argomenti che sconvolgono e di cui si tende a non parlare più? Perché ci si accontenta di dire “E’ andata bene” sottolineando che mamma e bambino sono vivi, stanno bene e poi si rimuove quasi il ricordo?
La nostra società è la società dei consumi (lo è ancora?) e dell’immagine. Ciò che non rende e ciò che è dolore e sofferenza viene nascosto, visto ma non guardato, sentito ma non ascoltato. In psicologia si parla di meccanismi di difesa dell’Io messi in atto dall’individuo quando si difende da pulsioni che non è in grado di fronteggiare o di sopportare in quel momento; in questo modo si tentano di evitare disagio e ansia. Tra questi ci sono la famosa rimozione (dimenticare), la negazione (non è vero), l’evitamento (non affrontare le difficoltà) eccetera. La nostra società si difende da sofferenze, paure, dolori forse perché non è in grado di affrontarli, del resto dice il proverbio “chi non semina, non raccoglie”.
Noi siamo dentro la società e permeati da essa, pensare di non essere coinvolti dallo spirito del nostro tempo è molto difficile.
Perché la donna che allatta viene considerata un po’ male? Non è rara l’espressione “è sempre con le tette all’aria”. Quale scandalo introduce nel vivere quotidiano una mamma che allatta in pubblico?
Il Comune senso del pudore è un film datato 1976 che a mio parere vale la pena rivedere perché racconta i cambiamenti nel senso del pudore, quanta strada si è fatta, ma forse non ancora abbastanza se ha ancora senso parlarne.
Ci sono stati due episodi, uno in un museo l’altro in un ristorante, che hanno avuto risonanza sui giornali e mi chiedo se quello fosse il fine e non il fatto in sé.
Tu cosa ne pensi? Cosa pensi di chi fa scelte controcorrente? Ti è mai successo di essere criticata per aver preso decisioni “impopolari”? Cosa ci manca per essere aperti e tolleranti? Cos’é, per te, il parto naturale? Hai mai desiderato informarti sul parto in casa?
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