Il recente ritorno alla ribalta del tema Nord-Sud, con annessi riferimenti a piagnistei e inviti a rimboccarsi le maniche, ha assunto toni che richiamano quelli della violenza psicologica nelle coppie. Da dove nasce questo dibattito? Da un accorato appello di Roberto Saviano a Matteo Renzi per non non rimandare più un serio confronto su come far ripartire davvero il Meridione d’Italia, senza retorica e senza ripetere errori del passato. La risposta del presidente del Consiglio è parsa davvero un modo per liquidare la questione.
Basta, dice Matteo Renzi! Smettila! Il rapporto dello Svimez sul Sud ritrae però una situazione estremamente negativa, che non può essere ridotta a lamentela.
Il Sud è rappresentato, in questo litigio domestico, come il partner debole, colpevole di non essere all’altezza delle aspettative o della propria controparte. Troppo emotivo, deve smettere di piangere e deve rimboccarsi le maniche. È inadeguato e tollerato a fatica.
Il Nord non lo ascolta perché non riesce a concepire che possa avere dei problemi. Il problema è lui, il Sud in quanto tale.
Ora, a parte la modernità di questa coppia omosessuale con problemi che, come tutti i problemi, si possono risolvere se prima li si riconosce, cosa stona? Stona che il Sud e il Nord siano rappresentate come entità monolitiche mentre invece si tratta di pluralità complesse.
Volendo stare al gioco pericolosissimo delle semplificazioni, il Sud che tramite Roberto Saviano replica al premier con un urlo di dolore e non con insulsi piagnistei, merita di essere ascoltato e preso sul serio come si dovrebbe fare con ogni individuo sofferente. Ci spingiamo oltre, affermando che negare la possibilità di esprimere sofferenza, gridando o invocando, è crudeltà bella e buona.
Questi scontri dualistici rischiano di innescare una polarizzazione di giudizio. Il partner forte si descrive implicitamente come positivo mentre il partner “difettoso” viene legato al palo dei suoi problemi a ricevere il pubblico dileggio.
C’è un ulteriore limite in questa immagine, un conflitto di interesse. Chi esprime il giudizio appartiene ad uno dei due blocchi contrapposti. Rappresenta il blocco che si autoproclama “virtuoso”. Il giudizio che Renzi esprime non è quindi equidistante perché espresso da chi si ritiene a capo del polo “non disfunzionale” della coppia.
Anche volendo concedere che Matteo Renzi si ponga come “pater” e non come “partner”, si tratterebbe comunque di un padre distratto, pronto a redarguire ma non ad occuparsi dei figli con costanza e partecipazione. Che si tratti di un mezzo divorzio o di una mancanza di cure paterne, che modelli e che scelte inconsce agiscono dietro a questa immagine dell’Italia come nucleo familiare problematico?
La strigliata fatta nella speranza che il partner o i figli “ripartano” “una buona volta” (e forse non tanto per la volta buona) ripercorre modelli passati in uno schema comportamentale che rivela vecchi automatismi. Non si può rottamare niente e non si può cambiare direzione senza fare i conti con le ombre e l’inconscio. La rimozione non rappresenta mai una soluzione.