All’ incontro sulla Grecia e sul futuro dell’Europa tenuto da Carlo Bastasin, giornalista esperto in economia del Sole 24 Ore, è saltata fuori una parola chiave che illustra in modo sintetico un aspetto della nostra società, il termine overpromising. Quando un governo promette più di quanto possa mantenere, quando in un certo senso bluffa per tenere buono l’elettorato, sta peccando di overpromising. Una delle conseguenze di questo modo di fare è scatenare il panico tra chi possiede titoli di quel paese. Quando appare chiaro che un programma è irrealizzabile e che certe affermazioni si basano sul nulla o sulla fede (l’economia concepisce al massimo la fiducia), i detentori di titoli “vendono”. Spesso accade che un popolo continui a credere alle promesse, anche di fronte alla sfiducia totale delle borse. Questa è in un certo senso un’anomalia. Una società sana tiene conto di segni così evidenti e, prima di spingere sull’acceleratore della fede, si pone qualche razionalissima domanda. Dietro al fenomeno dell’overpromising si cela un problema legato al principio di realtà. Quanta voglia abbiamo di guardarla in faccia? Quanto profondamente siamo disposti a valutare una situazione per com’è e non per come la vorremmo noi?
Cambiare rotta, ripartire da zero sono solo slogan. Ogni governo eredita le conseguenze dei precedenti e, vivendo in un mondo globalizzato in cui una bolla finanziaria scoppiata in un paese fa traballare l’economia mondiale, l’idea di fare da sé, in un’ottica autarchica, è anacronistica. Il mutamento richiede tempo e impegno costante.
Il punto però è che siamo abituati alle “promesse da marinaio”. La pubblicità ce ne propina dosi massicce. Noi compriamo anche se non crediamo a tutte le promesse che un prodotto ci fa attraverso il marketing. Non esistono creme ringiovanenti e libri che ci cambiano la vita, per il solo fatto di averli acquistati. I fondi assicurativi possono fallire nonostante promettano di proteggerci e di farci passare una vecchiaia serena. Lo sappiamo in linea teorica ma ci caschiamo lo stesso perché vogliamo che tutto vada bene.
Quante volte crediamo a promesse esagerate, anche nella vita privata? Quante volte ci prefiggiamo obiettivi che sappiamo irraggiungibili, per il tempo esiguo in cui pensiamo di porli a compimento o per l’ambiziosità del progetto? Anche negli ambienti lavorativi l’overpromising (risultati eccelsi subito, un’attenzione esclusiva impossibile da offrire per la presenza di altri clienti ugualmente incalzanti) è pericoloso.
L’overpromising ha una caratteristica tutt’altro che secondaria: maggiore è la nostra creduloneria, maggiore sarà il disappunto per averci creduto, mischiato in quantità variabile al senso di colpa e alla vergogna. Una promessa esagerata non mantenuta scatena spesso la rabbia di chi ha accettato il patto di fiducia.
Nel caso in cui chi fa la promessa sia consapevole di promettere a vuoto e in modo amorale, che quindi bluffi e se ne assuma il rischio ma non la responsabilità fino in fondo perché si affida al caso o alla fortuna, assistiamo ad una pura partita di poker. O la va o la spacca senza tanti scrupoli. Nel caso invece la persona che pecca di overpromising sia in buona fede, le conseguenze sono pesanti per entrambe le parti che contraggono il patto. Il peso del fallimento compreso fino in fondo è molto pesante da portare. Ecco perché, in modo più o meno conscio, si preferisce in genere scaricarlo su altre parti, esterne al patto.
La foto è di Deseronto Archives