Psicomamme: genitorialità, consapevolezza e creatività

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Lincoln di Steven Spielberg: un padre all’ennesima potenza

Elena Bottari Febbraio 15, 2013

Abramo, il padre biblico, devoto a Dio al punto di sacrificargli il proprio unico figlio, Isacco.

Abraham Lincoln il padre della patria per gli Stati Uniti d’America, un destino segnato forse anche nel nome, è padre di tre figli. Uno lo perde per il tifo, durante un ricevimento importante, nel bel mezzo della guerra.
La vita privata (alquanto sacrificata) e la vita pubblica del grande presidente vanno di pari passo verso la liberazione degli schiavi, verso la fine della  guerra, verso la gloria ma anche verso la sua morte violenta.

La moglie, distrutta dalla perdita del figlio mediano e dai sensi di colpa, ha intercettato una pallottola a lui destinata mentre era in carrozza accanto a lui. Da allora soffre di emicranie ma beneficia del dono di interpretare i sogni. Abraham ha sognato di essere solo su una nave che procede nella notte verso una luce all’orizzonte. Quella luce, così gli rivela la moglie, non è una battaglia decisiva contro l’esercito confederato, è la convalida del tredicesimo emendamento.

E infatti così, solo, contro ogni buon senso, contro ogni apparenza, il Presidente avvia la macchina diplomatica che assicurerà la libertà a quattro milioni di afroamericani. Allo stesso modo, solitario ma totalmente devoto, si occupa del figlio minore, ossessionato dalle immagini degli schiavi, onnipresente al fianco del padre che adora. Nonostante la moglie lo accusi di non stare abbastanza vicino al figlio maggiore che desidera arruolarsi, Abraham sa di non poter sopravvivere alla sua perdita e sa di amarlo infinitamente. Desidera, come tutti i padri, che lui non parta verso la morte, verso le bombe e le terribili ferite inflitte ogni giorno anche a ragazzi ben più giovani di lui. E’ un padre anche per i suoi giovani aiutanti, per i soldati afroamericani al fronte. A tutti regala racconti e affettuosa ironia. Tutti comprende, tutti sostiene. Al di sopra delle sue spalle un po’ sghembe, dalla vetta della sua statura da gigante, dispensa sguardi pieni di umanità.

Al culmine della propria popolarità Abraham Lincoln decide che non può esserci pace senza uguaglianza e fa tutto ciò che la legge e la politica gli concedono di fare, perché nessun afroamericano nasca più schiavo, perché i caduti non siano caduti invano.

Solo un grandissimo attore come Daniel Day-Lewys poteva interpretare un simile personaggio senza farne una statua prigioniera dei simboli che rappresenta. Lincoln non è un santo, si fa carico delle proprie colpe e delle proprie responsabilità. Sa che trascurando un figlio lo ferisce ma sa anche una nazione intera conta su di lui e che una nazione intera gli è figlia. Daniel Day-Lewis riesce a mantenersi in equilibrio su questo doppio fronte senza perdere mai la credibilità. Abraham ammira e ama la moglie che pure lo accusa di non degnarla di alcuna attenzione e di aver desiderato di rinchiuderla in manicomio dopo il lutto. Lui le spiega invece che avrebbe voluto non vederla più per non avere più sotto gli occhi le proprie responsabilità nella morte del bambino che anche lui amava, non meno della moglie ma in modo diverso.
Più volte emerge il concetto che solo noi possiamo alleggerire la nostra vita, che nessun altro può farlo al posto nostro.

Dopo aver visto questo gran film, per puro masochismo all’idea che il Presidente americano per antonomasia fosse morto lasciando il figlio piccolo orfano, sono andata a leggere questa lettera che scrisse forse proprio ad un insegnante del piccolo.

Dovrà imparare, lo so, che non tutti gli uomini sono giusti, che non tutti gli uomini sono sinceri.
Però gli insegni anche che per ogni delinquente, c’è un eroe;
che per ogni politico egoista c’è un leader scrupoloso
Gli insegni che per ogni nemico c’è un amico,
cerchi di tenerlo lontano dall’invidia, se ci riesce,
e gli insegni il segreto di una risata discreta.
Gli faccia imparare subito che i bulli sono i primi ad essere sconfitti.
Se può, gli trasmetta la meraviglia dei libri.
Ma gli lasci anche il tempo tranquillo per ponderare l’eterno mistero degli uccelli nel cielo, delle api nel sole e dei fiori su una verde collina.
Gli insegni che a scuola è molto più onorevole sbagliare piuttosto che imbrogliare.
Gli insegni ad avere fiducia nelle proprie idee, anche se tutti gli dicono che sta sbagliando.
Gli insegni ad essere gentile con le persone gentili e rude con i rudi.
Cerchi di dare a mio figlio la forza per non seguire la massa, anche se tutti saltano sul carro del vincitore.
Gli insegni a dare ascolto a tutti gli uomini,
ma gli insegni anche a filtrare ciò che ascolta col setaccio della verità, trattenendo solo il buono che vi passa attraverso.
Gli insegni, se può, come ridere quando è triste.
Gli insegni che non c’è vergogna nelle lacrime.
Gli insegni a schernire i cinici ed a guardarsi dall’eccessiva dolcezza.
Gli insegni a vendere la sua merce al miglior offerente, ma a non dare mai un prezzo al proprio cuore e alla propria anima.
Gli insegni a non dare ascolto alla gentaglia urlante e ad alzarsi e combattere, se è nel giusto.
Lo tratti con gentilezza, ma non lo coccoli, perché solo attraverso la prova del fuoco si fa un buon acciaio.
Lasci che abbia il coraggio di essere impaziente.
Lasci che abbia la pazienza per essere coraggioso.
Gli insegni sempre ad avere una sublime fiducia in sé stesso,
perché solo allora avrà una sublime fiducia nel genere umano.
So che la richiesta è grande, ma veda cosa può fare.
E’ un così caro ragazzo, mio figlio!

Che lettera d’amore per il proprio figlio, che documento prezioso per ogni educatore e per ogni genitore!

Articolo di Elena Bottari

La foto è di The Library of Congress

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