Bene e male, jedi e servitori dell’Impero, bambini buoni e bambini cattivi popolano la rappresentazione spesso troppo binaria della nostra quotidianità. Ci sono le anime mansuete e ci sono i prepotenti, lo dice la storia, lo dice la nostra esperienza. I buoni porgono l’altra guancia e si guadagnano il Paradiso, i cattivi si impongono sugli altri inseguendo il tutto e facile a scapito della vita eterna. Si sa che a scuola ci sono i bulli, gli arroganti, quelli che non stanno alle regole. Ce ne sono così tanti e compiono il loro mandato di bulli così bene che c’è da chiedersi, a volte, se non si stia in fondo recitando a soggetto.
Chi ricorda lo sceneggato di Luigi Comencini sul libro Cuore forse ha ancora in mente Franti rispondere al maestro con l’espressione di chi pensa << Mi comporto male perché non voglio darvi la soddisfazione di cambiare il mio personaggio perché me lo chiedete voi, come se fosse un dovere e non una mia scelta. Ho sempre “fatto il cattivo”, con che faccia cambio? Vi aspettate che io sia così>>.
Con che faccia o con che maschera Franti diventa Garrone?
Perché Franti dovrebbe accettare la carità del maestro che lo prende “con le buone”? Perché dovrebbe cedere? Perché di un conflitto si tratta, tra lui e il mondo, tra la sicurezza del personaggio e l’insicurezza dell’ignoto, tra l’affermazione di sé e il conformismo a valori che lo escludono.
Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Re, e Franti rise. Io detesto costui. È malvagio. Quando viene un padre nella scuola a fare una partaccia al figliuolo, egli ne gode; quando uno piange, egli ride. Trema davanti a Garrone, e picchia il muratorino perché è piccolo; tormenta Crossi perché ha il braccio morto; schernisce Precossi, che tutti rispettano; burla perfino Robetti, quello della seconda, che cammina con le stampelle per aver salvato un bambino. Provoca tutti i più deboli di lui, e quando fa a pugni, s’inferocisce e tira a far male. Ci ha qualcosa che mette ribrezzo su quella fronte bassa, in quegli occhi torbidi, che tien quasi nascosti sotto la visiera del suo berrettino di tela cerata. Non teme nulla, ride in faccia al maestro, ruba quando può, nega con una faccia invetriata, è sempre in lite con qualcheduno, si porta a scuola degli spilloni per punzecchiare i vicini, si strappa i bottoni dalla giacchetta, e ne strappa agli altri, e li gioca, e ha cartella, quaderni, libro, tutto sgualcito, stracciato, sporco, la riga dentellata, la penna mangiata, le unghie rose, i vestiti pieni di frittelle e di strappi che si fa nelle risse. Dicono che sua madre è malata dagli affanni ch’egli le dà, e che suo padre lo cacciò di casa tre volte; sua madre viene ogni tanto a chiedere informazioni e se ne va sempre piangendo. Egli odia la scuola, odia i compagni, odia il maestro. Il maestro finge qualche volta di non vedere le sue birbonate, ed egli fa peggio. Provò a pigliarlo con le buone, ed egli se ne fece beffa. Gli disse delle parole terribili, ed egli si coprì il viso con le mani, come se piangesse, e rideva.
Darla vinta ai grandi e ai bambini “bravi” è una soluzione che un bambino “cattivo” non contempla perché l’onore è tutto ciò che ha. Non la stima di sè, non l’amore dei compagni ma l’onore della battaglia combattuta a suon di malefatte, solo contro tutti, lo rende forte. E più lo sgridano più si comporta male. Franti non riconosce la bontà a cui è invitato a piegarsi. Franti dovrebbe pentirsi, dovrebbe abiurare ma soprattutto dovrebbe rinunciare al proprio primato di Incorreggibile.
Prendere di punta un bullo o una bulla, perché anche le bambine possono trovarsi dalla parte sbagliata della barricata, non serve a niente proprio per la questione dell’onore e perché spesso loro si infilano in una situazione nota, anche negativa, per confermare la propria identità di “cattivi”, perché, bisogna dirlo, anche la cattiveria ha la sua torbida grandezza e i bambini la percepiscono. Sgridare e punire sono azioni che non hanno effetto su di loro perché già si sentono come i bambini perduti di Peter Pan, recitano quella parte lì perché quella parte di sé viene riconosciuta come prevalente, anzi, quella parte è l’unica che li definisce a livello sociale.
E così Franti deride e picchia eppure è un bambino delle elementari. Fa quello che gli altri si aspettano da lui, non delude il pubblico che tuttavia soffre del suo comportamento. Perché gli altri siano “i buoni”, serve un “cattivo” ma non uno qualunque, uno bravo. E Franti è il migliore.
Quello che Enrico non si domanda è se la cattiveria di chi ride non sia una forma di virtù, la cui grandezza egli non può capire poiché tutto ciò che è riso e cattiveria in Franti altro non è che negazione di un mondo dominato dal cuore, o meglio di un cuore pensato a immagine del mondo in cui Enrico prospera e si ingrassa.