Cosa c’è dietro all’amore per la storia se non la curiosità, il piacere di capire come diavolo si viveva, che si cantava, come ci si vestiva, a cosa si giocava nei cortili dei famosi “tanti anni fa”? Non si può studiare storia senza questo spirito di ricerca delle buone cose di pessimo gusto che, dopo aver visitato la casa di Guido Gozzano lo si capisce bene, di pessimo gusto non erano affatto.
Aprire vecchie scatole impolverate, trafugare cimeli dei bisnonni, indossare improbabili camicie da notte scovate nei doppi fondi dei bauli di cartone con cui si passava l’Atlantico solo pochi decenni fa, è il primo passo per affondare le mani nella storia.
Il secondo passo è studiarla a scuola cercando di metterci anche un po’ di fantasia, il terzo passo è leggere Dizionario delle cose perdute di Francesco Guccini, un manuale di orientamento nel passato prossimo, nei nomi, nei motivi lirici e negli oggetti d’uso comune, come le temutissime canottiere di lana iper-pungente.
Non si può “salvare la Storia” se non si salva il gusto di queste scoperte, magari di storia “minore”, che sono però fondamentali per capire che gli uomini di tanto tempo fa non erano poi tanto diversi da noi e che studiare loro ci può magari aiutare a capire noi stessi, la nostra vita di oggi.
Per imparare cosa siano la bachelite, la TIMO (Telefoni Italia Medio Orientale), l’hully gully o il chioccaballe non c’è che da saltare dentro a questo libro appassionante e spesso comico di Francesco Guccini, inseguitore di parole e poeta.
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