Il parto naturale raccontato da Anna Ruocco
Elena Bottari Gennaio 9, 2013Il parto naturale nell’ esperienza di un’ostetrica
Proponiamo la trascrizione integrale della porzione di intervista che Anna Ruocco ha rilasciato a Psicomamme.it sulla nascita naturale. Le sue parole ci sembrano un’importante fonte di riflessione sul venire al mondo e su molte implicazioni a cui siamo abituati a non pensare!
Cos’è per te, dopo la tua esperienza di tanti anni, il parto naturale?
Io mi sono trovata, ad aggrapparmi come fa la maggior parte delle ostetriche, alle evidenze scientifiche, che sono dei paletti importantissimi, da cui non ci si può staccare, a legarmi alle donne che assistevo dal punto di vista umano. Mi sono trovata a soffrire con loro nei loro travagli, nei loro parti, oppure ad avare quel giusto distacco da professionista, perchè era più giusto così in determinati momenti più delicati della mia vita personale. Ad un certo punto però ho capito che sia l’empatia che il distacco erano giusti, ma che il parto naturale era un’esperienza così talmente importante, così talmente forte e unica nella vita di un essere umano che bisognava osservarlo un pò come fa l’etologo quando osserva un mammifero che partorisce.
Quando osservi un mammifero che partorisce gli devi dare tempo, rispetto, dignità nella disperazione o nella sofferenza. Gli devi dare la forza e la tranquillità quando magari il travaglio si dilunga, diventando quasi insostenibile dal punto di vista della sensazione della sofferenza. Tu sai che in quel sostegno là c’è la normalità del tutto, che lì sta arrivando il parto naturale. Sai che lì è la soluzione la chiave di lettura.
Sai che quando capita questo, il parto naturale è semplicemente una stravolgente esperienza nella vita di un essere umano. Io di questo sono convinta, ed è questa la mia scientificità delle cose. La scientificità ritorna così. La chimica degli ormoni, in questo processo, ha un odore, uno sguardo, ha degli atteggiamenti. La mia tranquillità, la tranquillità della collega con cui assisto, dell’uomo e della donna che mi sono di fronte, del bambino e dei suoi movimenti quando tocco questa pancia, o degli animali che sono in casa, delle persone che sono intorno, tutto questo mi dice che le cose stanno andando in un certo verso, che tutto questo ha una chimica, ha un’espressione e quella donna che in quel momento vive a fior di pelle queste percezioni non può che viverle sulla sua pelle appunto. Succede quindi che, se affianco a lei ha persone che sanno che quello è un processo normale, è normale anche lei. Percepisce come una sensazione di milioni di mani dietro la propria schiena che le dicono “Questo è il modo di partorire con cui hanno partorito milioni di altre donne, che sono andate avanti”. Una donna che partorisce in questo modo ha già un grande punto di partenza. Un bambino che nasce con questa premessa ha già delle capacità e una forza diversa rispetto ad altri. Poi è vero che la natura ha delle grandi riserve e ci mette del suo, riuscendo a rattoppare delle situazioni anche impressionanti, se no la specie umana finirebbe, ci saremmo estinti. Però bisogna anche riconoscere e dare forza alla capacità dell’essere umano di vivere in modo anche istintivo questi ormoni, di essere un mammifero che sa partorire.
Cosa è successo nella nostra società?
E’ successo che abbiamo imparato, invece, con la tecnologia, con la civiltà, a dare a questo processo un’espressione che doveva essere, in un’idea molto maschile probabilmente, nobilitata dalla tecnica. La donna non poteva più partorire nella posizione che sentiva più vicina e più comoda per il suo parto e così la donna non poteva usare la voce e così la donna non può ancora usare la voce, non può lasciarsi andare nell’esprimere il proprio parto. Quando capita questo, le donne che sono coinvolte e che sono in questa esperienza che, da un certo punto di vista è inquinata, non riescono a collocare il punto dove c’è stato un problema, dove è capitato un inghippo. Cos’è successo nel mio parto, cos’è questo strano senso di vuoto? Analizzando poi il tutto spesso capita che, andando a rivedere alcune cose, capisci che è mancata l’espressione del sano mammifero, l’espressione di quell’istinto che la società ci impone un pò nella repressione.
Quando un bambino nasce è istinto puro, è ormoni, è la follia degli ormoni. Quel sano mammismo, nel guardare un bambino, di riconoscerlo e di dire “Questo è mio figlio”, lo stiamo un pò perdendo. Abbiamo fatto di tutto per non riconoscerlo più.
Anni fa ero rimasta sconvolta dal mio veterinario quando mi disse “I cuccioli dei gatti non si devono toccare, i cuccioli dei cani non si devono toccare perchè altrementi andiamo ad inquinare il processo di imprinting importantissimo”. Ecco noi prendiamo i bambini appena nati, li strigliamo per bene, li puliamo, li profumiamo, e li mandiamo al nido. Questa è una cosa che mi sconvolge ancora adesso. E non riesco a pensare come, nella società odierna in cui i diritti dei cuccioli animali sono tutelati, al cucciolo dell’uomo debba essere riservato un trattamento così diverso, che non debba stare vicino alla mamma. La mamma deve essere bella, deve rimettersi subito in forze, dev’essere in gamba, dev’essere all’altezza. All’altezza di cosa?
Queste sono, per me, le grandi contraddizioni che ci hanno portato a perdere il parto naturale. Quando la natura non viene soddisfatta nelle sue tappe, in realtà poi lancia dei richiami. Odent dice che la salute primale comincia dal concepimento al terzo anno di vita, e io di questo sono convinta, e che ci sia un feed back continuo tra la salute primale e l’adolescenza. A volte mi chiedo “Sarà anche per il fatto che abbiamo inquinato così tanto il processo del parto naturale che oggi ci diciamo che gli adolescenti sono in crisi, che non hanno più punti di riferimento?”. I momenti storici che abbiamo vissuto sono stati quelli di identificazione. In questo momento, i giovani, in cosa sono identificati? Hanno veramente uno scopo politico, sociale, culturale? Io sento che invece questa parte viene a mancare. Se andiamo a vedere come sono nati questi adolescenti, vediamo che sono figli della tecnologia del parto, del disconoscere gli ormoni, del togliere gli odori, togliere gli sguardi, di mettere le donne sui lettini. Oggi, nella crisi collettiva, c’è la ricerca profonda di una riappropriazione di quella parte della propria vita, di dire, almeno, “Da qui voglio partire, voglio mettere bene i piedi per terra, voglio essere un sano mammifero, voglio essere centrata”. Certo che nel problema quotidiano posso trovare una soluzione diversa ma la mia centratura è la cosa che mi può dare la spinta per trovare una alternativa e quindi sento che c’è una ricerca nuova, di un parto che sia più vicino possibile al quel vuoto che sta reclamando a gran voce.
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Foto di The U.S. National Archives via Flikr