A scuola c’è la campanella e c’è il momento della ricreazione. Vale la pena riflettere sul significato di questa parola che indica una ripartenza, una riedificazione creativa che forse, esiste solo più nell’etimologia, non nei fatti. Eppure la lingua ci indica una via che sarebbe meglio non trascurare, quella di un nuovo inizio di cui il nostro cervello avrebbe bisogno davvero. Quel che la società e noi stessi ci concediamo è, al massimo, un intervallo, un “breake time” ovvero un’interruzione di qualcosa che continuerà più tardi, verosimilmente su binari già delineati, con ritmi, toni, abitudini e clima emotivo immutati.
C’è il tempo per mangiare qualcosa velocemente, c’è il tempo per chiacchierare, per fumare una sigaretta (per i tabagisti convinti) ma il cervello non cambia sottofondo musicale. Si aspetta, per questo, il campanello dell’uscita o qualche futura scadenza che potrebbe slittare ancora e ancora lasciandoci senza respiro. Quando non ci si ricrea da tempo, quando al massimo si fa un piccolo intervallo con la mente piena di pensieri, serve qualcosa di più, serve una tregua, un armistizio. Il lessico diventa, non a caso, guerresco.
Gli intervalli a scuola, soprattutto alle superiori, sono brevi e certo non agevolano la convivialità. Ragazzi e ragazze divorano gavette di insalata sottobanco (perché non si può mangiare in classe ma in corridoio non ci sono sedie o panchine), bevono bibite al sapore di altri più nobili liquidi. La maggior parte di loro assalta le macchinette distributrici sulla cui gestione sarebbe il caso forse di indagare un po’. Spesso si tratta di stare in classe fino alle 14 o alle 14 e 30 con buona pace delle teorie sulla giusta alimentazione, sui corretti tempi di un pasto, sull’importanza di mangiare cibi sani e freschi. A forza di saltare la ricreazione, la peggiore di tutte le punizioni, ci abituiamo a pensare di non meritarcela e così, di rinuncia in rinuncia, si finisce col giocarsi la ricreazione del tempo libero e del sonno. La notte diventa un intervallo tra due veglie, tra due giornate di impegni e rischiamo così di finire nel circolo vizioso dell’insonnia.
Quando i giorni sono tutti uguali e non esitiamo ad infliggerci piccole grandi punizioni che sono deprivazioni di libertà e di rigenerazione, dobbiamo alzare le antenne o sperare che chi ci sta vicino lo faccia per noi.
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La foto del bambino che gioca a baseball è di US national archive