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Tassi d’interesse, tassi di sconto e tassi reali

Elena Bottari Novembre 8, 2016

Spesso i giornalisti, gli economisti e i politici parlano di tassi.  Anche Achille Campanile ha affrontato l’argomento in un celebre testo umoristico giocato sull’omonimia tra Tasso (Torquato Tasso, autore della Gerusalemme Liberata), i tassi del mondo animale e quelli vegetali. I tassi della finanza suscitano molta meno ilarità ma conviene sapere la differenza che passa tra tassi di interesse, tassi di sconto e tassi reali.

  • Il tasso di interesse nominale è il denaro che viene corrisposto a chi ha erogato cifre in prestito ed equivale ad una percentuale sulla somma prestata. Si può dire che il tasso di interesse sia quel che il prestito costa a chi lo contrae e che sia invece il guadagno di chi lo concede. Quando otteniamo un prestito dobbiamo sapere che oltre alla cifra che riceviamo dovremo pagare un interesse su quella cifra.
  • Il tasso di sconto permette di capire quanto valga oggi un investimento futuro. E’ un modo per attualizzare il valore presente di flussi di cassa futuri. Pensiamo alle obbligazioni: hanno una scadenza prefissata. Se voglio sapere quanto guadagnerei dalla vendita delle mie cedole obbligazionarie, devo calcolarne il tasso di sconto.  La differenza tra la somma a scadenza ed il suo valore attuale è detta appunto sconto.
  • Il tasso di interesse reale è il tasso di interesse calcolato tenendo conto dell’inflazione. Se l’interesse nominale è del 12% e l’inflazione al 10%, l’interesse reale è del 2%. Quando vogliamo fare un investimento è proprio a questo tipo di tassi che dobbiamo prestare molta attenzione.

I telegiornali spesso citano un altro concetto che non riguarda i piccoli investitori ma gli stati e le loro banche private, quello di tasso negativo.

Come può un tasso essere negativo?

Nella situazione economica globale stagnante che caratterizza i nostri tempi, la BCE ha pensato di dare impulso alla crescita e all’occupazione ricorrendo ai tassi negativi. Il problema è che comunque le banche non concedono credito facilmente a famiglie e a piccole e medie imprese e la stagnazione perdura. In più, per rivalersi di ciò che devono pagare alle banche nazionali per gli interessi negativi dei capitali lì depositati, alcune banche hanno aumentato gli interessi ipotecari o i costi dei conti per scaricare sui correntisti questa spesa. Quando Mario Draghi lanciò l’idea dei tassi negativi, lo fece per incoraggiare il prestito: le grandi banche commerciali devono pagare per lasciare il loro denaro presso le banche centrali, non è quindi per loro conveniente lasciare fermi i soldi, dovrebbero prestarli.

Siamo consapevoli che l’attuale situazione di tassi negativi avrà conseguenze e mette alla prova le banche. I bassi tassi di interesse oggi non devono però essere utilizzati come giustificazione per tutto quello che sta andando male per le banche

Allo stesso modo la politica degli interessi negativi spera, visto i bassissimi interessi di conti e titoli di stato, che le persone spendano e investano nell’economia reale facendola ripartire e aumentando l’inflazione. I cittadini hanno però reagito ai tassi negativi diminuendo ancor più la spesa per un effetto psicologico di protezione di fronte ad uno scenario inedito. Certo è che, senza i tassi negativi la deflazione sarebbe altissima.

Cosa sono inflazione e deflazione?

L’inflazione è il cospicuo aumento di tutti prezzi che erode il potere di acquisto della moneta il cui valore reale risulta inferiore al passato. Questa crescita dei prezzi è dovuta alla gran massa di denaro circolante, superiore al bisogno reale di scambi. Anche a livello colloquiale si dice che un prodotto sia inflazionato, e quindi abbia meno valore, quando se ne vedono tantissimi in circolazione.

In un contesto di deflazione i prezzi dei beni e dei servizi invece di aumentare diminuiscono alimentando una spirale negativa sui consumi che frena produzione, fatturati e prodotto interno lordo. Dal 2012 stiamo vivendo anche una deflazione salariale che è, in un certo senso, una conseguenza della globalizzazione qui ben illustrata

Ciò è dovuto per i Paesi dell’Eurozona 1) in parte agli effetti fisiologici del processo di globalizzazione in corso (i Paesi più ricchi finiscono per importare deflazione dai Paesi che vendono prodotti a costi più bassi perché hanno costi di produzione minori); 2) in parte a un lento processo di aggiustamento degli squilibri commerciali tra Nord e Sud Europa (i Paesi più deboli per tornare competitivi, non potendo svalutare il cambio che è fisso e si chiama euro, sono costretti a svalutare i salari).

Questo bel’ articolo di Vito Lops “Un mondo alla rovescia, tassi negativi e deflazione” pubblicato dal Sole24Ore ci offre un’idea generale della situazione ma anche uno strumento per muoverci nell’economia e nella politica monetaria in modo videoludico, attraverso un videogioco che si chiama €CONOMIA.

Ma quindi cosa è peggio tra inflazione e deflazione? L’ideale sarebbe trovare un buon equilibrio, che potrebbe essere quello di un’inflazione al 2% invece che allo 0,2% come è adesso.

Dietro alla parola economia si nascondono tante realtà tutte importanti, dall’economia finanziaria a quella monetaria ma non bisogna trascurare l’economia comportamentale e le componenti psicologiche che inducono determinati comportamenti nei risparmiatori. Noi siamo abituati a pensare il denaro in modo concreto, in termini di flussi reali (compravendita di beni o servizi) ma per capire il nostro presente dal punto di vista economico dobbiamo pensare anche ai flussi monetari.

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