Violenza domestica e femminicidio in Italia
Elena Bottari Maggio 8, 2013La violenza contro le donne produce un assassinio ogni tre giorni. Sono già 36 le vittime del femminicidio in Italia nel 2013.
Una cifra spaventosa che colloca l’Italia tra i paesi con il più alto tasso di mortalità femminile per mano di uomini violenti che spesso sono mariti o fidanzati.
Le parole di Rashida Manjoo, Relatrice speciale dell’Onu sulla violenza di genere (26 gennaio 2012) delineano un problema gravissimo:
Purtroppo, la violenza sulle donne resta un problema in Italia, similmente a quanto accade in molti altri paesi del mondo. Con dati statistici che vanno dal 70 all’87 per cento a seconda della fonte, la violenza domestica risulta essere la forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il paese. Il continuum della violenza tra le mura domestiche si riflette nel numero crescente delle vittime di femminicidio: dalle statistiche fornite risulta che, nel 2006, 101 donne sono state uccise dal partner, dal marito o dall’ex partner, e il dato del 2010 è aumentato a 127. Gran parte delle manifestazioni della violenza denunciata ha luogo in un contesto caratterizzato da una società patriarcale e incentrato sulla famiglia; la violenza domestica, inoltre, non sempre viene percepita come reato. Emerge, inoltre, il tema della dipendenza economica, come pure la percezione che la risposta dello stato a tali denunce possa non risultare appropriata o utile. Per di più, un quadro giuridico frammentario e l’inadeguatezza delle indagini, delle sanzioni e del risarcimento alle donne vittime di violenza sono fattori che contribuiscono al muro di silenzio e di invisibilità che circonda questo tema.
Donne strangolate, picchiate a morte, vittime di arma da fuoco, violentate.
Ecco come Rashida Manjoo conclude la propria relazione:
Infine, vorrei sottolineare che l’attuale situazione politica ed economica dell’Italia non può essere utilizzata come giustificazione per la diminuzione di attenzione e risorse dedicate alla lotta contro tutte le manifestazioni della violenza su donne e bambine in questo paese. Invito quindi tutte le parti coinvolte ad assumersi, in questo momento cruciale, la responsabilità di promuovere i diritti umani per tutti e, cosa più importante, a far sì che il tema della violenza contro le donne rimanga tra le priorità dell’agenda nazionale. Esorto il settore governativo e quello non governativo ad adottare un approccio più coerente e creativo, così da favorire la transizione verso una società politicamente ed economicamente stabile in cui la promozione e la protezione dei diritti umani di tutti gli individui possa diventare obiettivo centrale in quest’epoca di crisi e cambiamento.
Abituati come siamo a considerare “gli altri”, il Terzo mondo, le donne di paesi lontani, problema umanitario, siamo arrivati ad esserlo noi.
Vale quindi la pena di fare un salto indietro, ma non troppo, nel tempo. Il codice penale italiano, fino al 1981, conteneva questo articolo che, di fatto, giustificava l’omicidio delle adultere per mano dei coniugi, dei padri e dei fratelli.
Codice Penale, art. 587
Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.
Ricordate il caso di Hina Saleem, la ragazza pachistana uccisa dai parenti perché refrattaria alle tradizioni di origine? Ci fu un grande clamore. Sembrava che, per via di culture diverse dalle nostre, l’Italia fosse costretta a tollerare situazioni disumane e primitive.
Ivan Forte, assassino di Tiziana Olivieri è già fuori dal carcere, ad un anno dal fatto, per decorrenza dei termini.
Immacolata Rumi, 53 anni, è stata letteralmente ammazzata di botte dal marito. Si sente dire “Ti ammazzo di botte”, ecco, non è solo un modo di dire.
Due donne, una incinta di tre mesi, sono state sfigurate con l’acido muriatico.
Questa è l’Italia!
Come Lorella Zanardo scrive su Il Fatto Quotidiano, bisogna ricominciare da scuola e televisione.
Possiamo decidere che oggi sia l’inizio di un nuovo percorso. Mi permetto di consigliare alcune iniziative necessarie la cui richiesta arriva dalle migliaia di ragazze e di giovani uomini che incontriamo ogni anno nelle scuole. Il cambio che auspichiamo è culturale, vogliamo un Paese realmente paritario dove anche per le donne sia valido quella bellissima parte del terzo articolo della Costituzione che ci ricorda come ognuno – e immagino ognuna – debba essere messa in grado di esprimere il meglio il proprio potenziale di persona. I luoghi idonei da cui iniziare il cambiamento sono i due più importanti agenti di socializzazione attivi nell’età formativa: i media e la scuola. Si stanno raccogliendo firme, si moltiplicano appelli ed è certo bene innalzare l’attenzione. Ricordo però con preoccupazione che l’anno scorso partì una campagna contro il femminicidio promossa tra l’altro anche da noi. Alta fu l’attenzione, anche i calciatori si attivarono, nomi noti si dissero d’accordo. Ma non successe poi molto di più. È la bellezza e il limite del web, lo constatiamo nelle scuole: firmiamo un appello, scriviamo il nostro “mi piace” sui social network e crediamo di avere fatto il nostro dovere, mentre è solo il primo, importante, ma solo il primissimo passo. “Non esco più con le amiche al pomeriggio” mi confidava una ragazzina al termine di una lezione a scuola. “Il mio ragazzo è geloso, non vuole”. Inizia da lì il bisogno di educazione prima che alla sessualità, alla relazione sia per le ragazze che per i ragazzi. È urgente spiegare, confrontarsi e mettersi in ascolto perché moltissimi parlano di giovani ma pochi si mettono in reale relazione con loro. “L’ho uccisa perché mi ha lasciato” è la motivazione più frequente che danno gli uomini di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali. Il colpo di coda del patriarcato, lo definisce qualcuna.
Bisogna fare i conti con noi stessi, perché è da noi che la violenza parte. Avere il coraggio di parlarne con i figli, di litigare con i genitori che dicono le femmine sono deboli, che certe cose non le sanno fare, che i maschi sono meglio, che essere maschi è meglio. Che sono tutte frasi che i bambini dicono fin dall’asilo.
Basta fiocchetti rosa, principesse, retorica di facciata. Basta con i vestitini della comunione che sembrano vestiti da sposa, basta con le ragazze giudiziose e i maschi scapestrati. Basta! Perché ad essere giudiziose come vogliono i padri o i mariti, si rischia, lo confermano i dati, di venire pestate alla prima scelta autonoma.
Riflettiamo sui casi in cui abbiamo sentito dolorosamente che una donna che decide per sé è qualcosa da contenere o da reprimere e facciamo in modo che le cose cambino!
La foto è di bibliothequedetoulouse