Psicomamme: genitorialità, consapevolezza e creatività

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Empatia, il gioco di mettersi nei panni dell’altro

Elena Bottari Gennaio 22, 2013

Se chiudo gli occhi mi sembra di indossare ancora quelle decollétées nere o forse erano mocassini di vernice, sicuramente erano scarpe di mia mamma e io ero piccola. Sono trascorsi molti anni, i ricordi si sovrappongono e si mischiano con quelli che gli addetti ai lavori chiamano falsi ricordi. Cioè quelle cose che sai perché te le hanno raccontate, non perché te le ricordi davvero e, tra i miei, c’è un vestito rosso, nuovo, bellissimo, appoggiato su una sedia. Insieme a lui c’è anche un diktat per me “ guai a te se te lo metti”, e io non l’ho messo, ho preso le forbici e l’ho aggiustato secondo i miei gusti, ero sicura che sarebbe stato molto più bello con le frange, solo per questo motivo l’ho tagliato. Oggi però mi assale anche il dubbio di averlo fatto perché ero infuriata, perché impedire ad un bambino di travestirsi genera rabbia.
Tutto questo per dire che il travestimento per i bambini è una vera passione. Aprire l’armadio di un adulto e usare i suoi abiti è fantastico, ma è soprattutto “mettersi nei suoi panni” che, guarda a volte la fatalità, corrisponde alla definizione spicciola della parola empatia. Considerando il valore e l’importanza che per il resto della vita avrà questa capacità per la costruzione e per il mantenimento delle relazioni, possiamo renderci conto di quanto possa essere importante favorirne lo sviluppo.

In generale noi adulti sottovalutiamo il senso del gioco, loro invece, i bambini, non fanno niente per caso e per loro il gioco è una cosa seria.
La questione è che ci fermiamo al significato concreto delle cose, è come se alle azioni attribuissimo solo la concretezza. I bambini invece sanno stare contemporaneamente sui due piani del concreto e del simbolico, giocando fanno finta che, simbolizzano una situazione. Per loro è evidente che quando si travestono con i vestiti dei genitori stiano provando a mettersi nei panni dei grandi, per noi diventa chiaro solo quando ci spaventiamo, ad esempio se ci accorgiamo che il nostro ometto si diverte di più ad indossare gli abiti della mamma che quelli del papà. Scatta subito lo spauracchio dell’omosessualità e troviamo il modo per impedirglielo. Quel bimbo stava solo esplorando la sua parte femminile, quella che Jung chiama Anima, e noi gli abbiamo inviato il messaggio che non è roba per lui. Questo è solo un esempio che può, però, essere usato come traccia per vedere con un paio di lenti diverse dal solito un nostro tipico comportamento.

Nel nostro mondo di adulti il travestimento ha assunto un significato più vicino al registro della paura che a quello del provare, del verificare, del fare esperienza, che invece gli appartengono di più.
Pensandoci bene però tutti quanti ci travestiamo in diverse occasioni ma chiamiamo questo tipo di vestizione in altro modo: abito da cerimonia, vestito da sposa, abito da sera e via di seguito.
E’ ancora Jung a ricordarci che la parola persona vuol dire maschera, il che è come dire che la parte che noi presentiamo di noi stessi pubblicamente, la nostra persona appunto, altro non è che una maschera. E’ sufficiente un minimo sforzo, quello che una volta si chiamava esame di coscienza, per ammettere che anche durante lo stesso giorno indossiamo maschere diverse per diverse occasioni. Possiamo quindi dire che, dal punto di vista psicologico, il travestimento ci appartiene, lo esercitiamo quotidianamente ma in maniera meno vistosa perché le regole sociali e il nostro conformismo ci impediscono di esprimerlo in modo palese.

C’è un’età intermedia tra l’infanzia e l’adultità in cui si transita in una fase in cui spesso si sperimentano abbigliamenti bizzarri con il fine ultimo di trovare il proprio stile, passando attraverso abbigliamenti che hanno la presunzione di essere anticonformisti per la società, ma anche lo scopo di essere conformisti (con la stessa forma) all’interno del gruppo dei pari. Anche questo atteggiamento viene molto criticato, ma mentiamo sapendo di mentire perché è un modo di fare che replichiamo anche noi adulti. Non a caso abbiamo gli abiti per andare al lavoro che sono diversi se lavoriamo in banca o al mercato e non sono intercambiabili.
Tutto questo discorso è in equilibrio sul filo sottile della differenza che c’è tra abbigliarsi e travestirsi, non soltanto a Carnevale.

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Articolo di Flavia Cavalero

Foto di Psicomamme.it

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