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Traduzione dell’articolo Non abbiamo aspettato il Covid 19 per sacrificare i nostri giovani, di Elena Scappaticci

Elena Bottari Settembre 18, 2021

Pubblico la traduzione di un interessantissimo editoriale di Elena Scappaticci, apparso il 17 settembre 2012 sulla rivista Usbek et Rika. La situazione francese è diversa da quella italiana, soprattutto per le forme di sostegno ai giovani già presenti o in via di definizione come il REJ e il RSA ma si possono intravedere una comune forma di ghettizzazione dei giovani e simili conseguenze socioeconomiche in Francia e in Italia.

Traduzione dell’articolo Non abbiamo aspettato il Covid 19 per sacrificare i nostri giovani, di Elena Scappaticci, 17 settembre su Usbek et Rika.

Dietro la passione mediatica e commerciale per le etichette generazionali, le fratture in seno alla gioventù francese non hanno fatto che accentuarsi negli ultimi trent’anni, con una stagnazione della mobilità sociale e una pauperizzazione accresciuta dei bambini delle classi medie e popolari. E’ tempo di prendere coscienza del fatto che assistiamo ad un declassamento strutturale dei 18-30 anni, fenomeno brillantemente dimostrato da un gruppo di sociologi in un’opera co-diretta da Tom Chevalier e da Patricia Loncle, Una gioventù sacrificata? (PUF, agosto 2021)

Nel 2014, nell’opera Il destino delle generazioni, il sociologo Louis Chauvel metteva in guardia contro una potenziale rottura di quello che definiva la “legge del progresso generazionale”.

Per la prima volta in tempo di pace, avvertiva l’autore, una generazione sarà costretta a confrontarsi al rischio di conoscere condizioni di vita peggiori rispetto a quelle precedenti.

Qualche anno più tardi, questa profezia lascia l’amaro in bocca. Nel breve ma denso saggio co-diretto da Tom Chevalier, ricercatore del CNRS e da Patricia Loncle, professore universitario alla Scuola degli studi superiori in sanità pubblica, numerosi sociologi si occupano di una questione dall’accento puramente retorico: nel 20121, si può parlare di gioventù sacrificata?

Non è più il progresso generazionale ad essere la norma quanto ormai il declassamento generazionale

La constatazione posta dai ricercatori radicalizza in qualche modo le intuizioni formulate da Louis Chauvel: non è più questione di analizzare la precarizzazione circostanziata di una particolare coorte generazionale- per esempio, la generazione che attualmente subisce in pieno le conseguenze economiche della crisi sanitaria – ma piuttosto di accettare che, dopo molti decenni, è meno il progresso generazionale il declassamento generazionale ad essere la norma

Una gioventù « intrappolata nei limbi dell’infanzia

Da cui la questione posta dai sociologi: è ancora pertinente parlare di « generazione sacrificata»? Secondo il gruppo di ricercatori, sarebbe una modo di ridurre ad eufemismi le sfide che si pongono per l’intera società di fronte ad una gioventù « intrappolata nei limbi dell’infanzia» da un insieme di dispositivi politici ed economici che arretrano sempre di più la possibilità di un’emancipazione dalla sfera familiare, scatenando problemi psicologici inediti ma anche nuove forme di «collera» che, pur eterogenee, hanno come denominatore comune una profonda sfiducia verso il mondo politico istituzionale.

In molti modi la crisi del Covid-19 è stata una cartina al tornasole impressionante di ciò che i ricercatori non esitano a definire di « declassamento generazionale». Un terzo dei giovani (18-29 anni) ha dovuto lasciare il proprio appartamento durante il confinamento, per tornare al domicilio parentale nel 62% dei casi. Altro dato sorprendente: l’84% degli individui che aveva previsto di sposarsi, di sottoscrivere un pac o di andare a convivere, non hanno potuto farlo. Mai come a vent’anni, la capacità di immaginarsi nel futuro è essenziale nella costruzione personale. Quando l’orizzonte a breve termine è un ritorno alla casa dove si è cresciuti, l’arresto brutale delle risorse finanziarie fornire dal proprio impiego da studente lavoratore e la sospensione forzata delle relazioni interpersonali, come non sviluppare un profondo sentimento di impotenza e di risentimento, l’impressione di un’« esclusione simbolica e politica dalla società» ?

La storia di una grande declassamento

Prima di studiare le diverse forme politiche o apolitiche- che prendono questi due sentimenti, conviene analizzare i meccanismi strutturali all’origine di questo ribaltamento di paradigma inedito nella storia. Quali sono stati i punti di rottura sfociati nel fatto che un’immensa maggioranza di genitori francesi, ormai, non possono più sperare di vedere la propria discendenza accedere ad uno status sociale ed economico migliore del loro?
Tre fattori principali sono evocati nell’opera. Il primo, senza grandi sorprese, è quello della stagnazione della mobilità sociale che il professore di sociologia dell’Università Versailles-Saint-Quintin Camille Peugny decritta con precisione, ricordando che il termine « generazione » ha la tendenza a cancellare le ineguaglianze intergenerazionali generate del mantenimento di meccanismi di riproduzione sociale ancora estremamente potenti al giorno d’oggi.

I diplomi determinano sempre di più l’acceso all’impiego, il tipo di impiego e il livello dei guadagni

Dal canto suo, Nicolas Charles, Docente di sociologia all’Università di Bordeaux, si concentra su un argomento dei più delicati: i vicoli ciechi della massificazione scolastica, dimostrando con brio che le forme da essa assunte in Francia non hanno fatto che rafforzare le ineguaglianze intergenerazionali precedentemente evocate da Camille Peugny, dovute a diversi fenomeni: la diminuzione delle spese pubbliche nell’insegnamento superiore, il ruolo degradato dei giovani nel mercato del lavoro, la frammentazione del sistema di insegnamento superiore al servizio di una sistema fondamentalmente elitario che alimentano le disuguaglianze intergenerazionali e, infine, l’eccessiva influenza dei diplomi sulle traiettorie individuali «che determinano sempre di più l’accesso all’impiego, il tipo di impiego e il livello delle entrate».

Lo stato sociale porta con sé rapporti social di età istituzionalizzati
Ultimo fattore, ma tra i meno trascurabili, quel che i sociologi Léna Lima e Benjamin Vial designano come una «familirizzazione della società», ovvero un’orientazione dei diritti e dei servizi offerti dalle politiche pubbliche che fa della fascia d’età tra i 18 e i 30 anni un’« età di non rimedio». Dati alla mano, provano altresì che lo stato sociale include rapporti sociali di età istituzionalizzati, a detrimento dei giovani». Il rifiuto persistente, malgrado la crisi attuale, di abbassare l’accesso al sistema RSA (Le revenu de solidarité active, entrata di solidarietà attiva) almeno a 25 anni costituirebbe secondo loro l’esempio paradigmatico di questa «familizzazione della società» che imprigiona i giovani adulti in una situazione finanziaria che frena la loro emancipazione definitiva.

All’approssimarsi delle presidenziali, questa situazione che alimenta una spirale di risentimento e di disperazione dovrebbe allertare tutti i decisori pubblici, tanto più che, come precedentemente evocato, essa sfocia in una nuova tipologia di collera declinata dai sociologi Sarah Pickard e Cécile Van De Velda attraverso i ritratti di tre giovani che incarnano, ciascuno a suo modo, il volto di questa generazione presa nelle reti del declassamento.

Tre sfumature di collera

Il primo, Enrico, 27 anni, ex Gilet jaune che dichiara di avere votato Marine Le Pen, incarna secondo loro un fenomeno sociale che ritroviamo su scala molto più ampia: « l’accumulo di collere sociali silenziose, in particolare nelle frange più impoverite (…) che si traducono, tra l’altro, in virulenti discorsi anti-sistema. »

Se questo fenomeno in particolare è già stato oggetto di numerose analisi, più istruttiva è la lettura del ritratto di Lila, francese di 24 anni che vive a Montréal, e incarnazione, secondo i due sociologi, di quello che gli studi anglosassoni nominano la « politica dello stile di vita», ovverosia una forma di militantismo apartitico che si traduce come una «armonizzazione dei propri valori, delle proprie azioni quotidiane e delle proprie scelte di vita» In breve, un ritorno all’essenza del politico, se si crede ad uno dei nostri più antichi esperti in materia, un certo Aristotele, per il quale la condizione umana si definisce, innanzitutto, per la sua natura politica. Per Lila e molti altri, «la sfiducia verso il mondo politico istituzionale va di pari passo con un movimento di riappropriazione e di allargamento della nozione stessa di politica, che assume un’accezione più quotidiana, personalizzata e integrata nel percorso di vita. »
Infine Paul, 28 anni, nato da una famiglia borghese di Bordeaux, incarna un altro versante non settario ma più direttamente militante di questa collera attraverso la sua partecipazione a numerosi movimenti di occupazione di luoghi e spazi pubblici lanciati da organizzazioni come Extincion Rebellion.

Resta da capire se queste forme di collere estremamente polimorfe possano trovare punti di convergenza su alcuni argomenti, fino a fare emergere un vero movimento di protesta nei giovani. Questo, secondo me, è competenza di una sceneggiatura di fantascienza. Le ineguaglianze intergenerazionali generate dall’arresto dell’ascensore sociale rendono attualmente poco probabile l’emergere di un movimento sinergico in una generazione più che mai frammentata.
Segno di speranza, tuttavia, il governo, senza aver ceduto sulla questione dell’abbassamento di età dell’accesso al RSA, sembra aver parzialmente ascoltato la difficoltà di una parte della gioventù francese – o per opportunismo politico, ha deciso che fosse tempo di indirizzarsi a questa frangia dell’elettorato. Una delle ultime riforme del quinquennio sarà la messa in opera di un reddito di impegno per i giovani (REJ) di meno di 26 anni, pensato come un’estensione della Garanzia Giovani creata sotto François Hollande.
E’ da vedere se questo sarà sufficiente a, secondo le parole di Louis Chauvel, «riequilibrare il rapporto tra generazioni fortunate e vittime della storia sociale. Perché le cicatrici diventano permanenti quando incontrano la negazione, ciò di cui la gioventù contemporanea è vittima»

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