Breve storia della scuola italiana
Elena Bottari Settembre 9, 2019Dall’Unità ad oggi molto è cambiato nella scuola. La storia della scuola italiana è travagliata ma anche emozionante. L’assetto centralista originario non si è stemperato così come non si è superata una certa rigidità del setting didattico e della figura dell’insegnante come protagonista della scena ma molta acqua è passata sotto i ponti. Riforme, adeguamenti a linee guida sovranazionali, innovazione, burocrazia, generazioni di insegnanti e di studenti hanno fatto e continuano a fare la scuola ogni giorno.
La nostra è una scuola inclusiva, a volte più sulla carta che nella realtà, ma comunque all’avanguardia sui principi di uguaglianza e di pari opportunità da offrire a tutti, tipici e atipici, con o senza svantaggio, malati e sani, tutti nella stessa scuola e all’insegna di un’idea di comunità in cui nessuno sia un ospite ma tutti siano membri a pieno titolo, necessari alla vita della classe.
Non esistono più scuole speciali in Italia dal 1977 e non esistono percorsi differenziati per gli studenti “migliori” come ai tempi di Casati e di Gentile. La scuola non è più selettiva e ha precisi doveri di valorizzazione del capitale umano, indipendentemente dalla condizione socioculturale e dalle abilità di partenza.
Anche se la funzione di promozione sociale della scuola è un po’ appannata, l’istituzione scolastica si propone oggi criteri di efficacia e di trasferibilità delle competenze che sono il centro della nuova visione promossa da Unesco, Ocse e Unione Europea. Volendo individuare una tendenza maggoritaria nella scuola di oggi, potremmo dire che sia il funzionalismo a farla da padrone, non più la paideia umanistica di gentiliana memoria.
Non bisogna però dimenticare che la scuola idealista che aveva nello studio dei classici il fulcro dei propri valori era inflessibile e ripetitiva, improntata alla più severa disciplina e sulla triade lezione, ripetizione, voto. Bisogna aspettare l’inizio del ‘900 con Giuseppe Lombardo Radice e Maria Montessori per una pedagogia puerocentrica che valorizzasse la spontaneità e l’autonomia degli allievi. Innovazione e tradizione convivono da sempre nella scuola italiana che, dagli estremi della pura coercizione alla massima libertà creativa, offre sfumature molto diverse di approccio. Tutto dipende dagli insegnanti e da quanto possano o vogliano mettere in pratica metodologie inclusive, capaci di aumentare la motivazione e l’interesse delle classi. Una didattica della domanda invece che dell’offerta, una didattica dei processi più che dei risultati quantitativi, una didattica capace di ascolto profondo e di condivisione di progetti con studentesse e studenti ha il potere di attivare le menti dei giovanissimi alla piena presa in carico del proprio apprendimento, superando resistenze e senso di inefficacia che albergano spesso nel loro animo. La scuola di oggi ha bisogno di insegnanti ponte, capaci di mettere in relazione le preconoscenze dei ragazzi, anche quelle ingenue, con le nuove, ha bisogno di docenti promotori di apertura degli allievi a visioni sistemiche del mondo e a prospettive collaborative, non competitive.
Le competenze guida per la cittadinanza attiva incoraggiano il pensiero complesso, la capacità di problematizzare e di considerare le relazioni tra variabili apparentemente distanti. Ricordare, comprendere, applicare, analizzare, valutare e creare sono i processi di pensiero a cui le competenze chiave si rifanno. Il costrutto della competenza, centrale nella nuova visione della scuola, è la capacità di usare conoscenze, abilità, risorse individuali ed esterne per risolvere situazioni-problema inedite. Autonomia e responsabilità sono attributi fondamentali della competenza che si configura come flusso di risorse, sapere in azione. La competenza supera le conoscenze e le abilità comprendendole e rendendole vive.
Alcune tappe in pillole:
La scuola italiana è nata sotto il mantello del liberalismo borghese. Si trattava di una scuola selettiva che dirottava gli alunni “meno brillanti” verso il lavoro. Le scuole medie erano per i rampolli della buona borghesia, gli altri frequentavano la scuola di avviamento professionale.
I classici della letteratura greca e latina rappresentavano, assieme all’etica del Risorgimento, il cuore degli ideali propugnati sui banchi di scuola da insegnanti inflessibili. Le bambine avevano ancora minore accesso all’istruzione rispetto ai maschi. Solo nel 1874 le donne hanno ottenuto l’accesso ai licei e alle università ma molte scuole continuarono a respingere le iscrizioni femminili. La classe di origine determinava i corsi di studio e il futuro professionale. La mobilità sociale era scarsissima.
Questa impostazione è rimasta inalterata fino al 1962, quando viene istituita la scuola media unica e ogni studente può ricevere una formazione storico-letteraria e tecnico-scientifica.
Dagli anni 70 si supera la visione comportamentista dell’istruzione programmata e la scuola prende le distanze dall’ottica esclusivamente paradigmatica della proceduralizzazione delle azioni e della razionalizzazione dei processi. L’egualitarismo contraddistingue questa fase che vede la scuola rivestire un ruolo di ascensore sociale e di volano professionale di massa che inizierà ad entrare in crisi negli anni ’80.
Il paradosso della scuola della globalizzazione è, oltre alla mancanza di profondi valori condivisi, la povertà delle proposte culturali e informative presenti a scuola rispetto alla moltitudine spesso indistinta di stimoli fuori dalla scuola, precisamente nel web. Tra arretratezza e acritica fede nelle ultime tecnologie più che su dati scientificamente attendibili, la scuola sembrava aver perso la propria identità di avanguardia culturale.
Con il funzionalismo della scuola efficace, delle capacità riflessive e creative promosse a livello mondiale, l’istituzione scolastica sembra aver trovato nelle competenze, nella logica della complessità e nell’insieme di capacità critica, abilità cognitive e non cognitive, sociali e collaborative un rinnovato ruolo di guida delle nuove generazioni.
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